Secondo la morale confuciana, la donna ideale aderisce al modello ryōsai kenbo 良妻賢母 (“brava madre, moglie saggia”), osservando i sanju 三従 (“tre principi di obbedienza”): obbedienza al padre prima del matrimonio, al marito dopo le nozze e al figlio in caso di vedovanza.
Questo paradigma la subordina alla figura maschile, confinandola al ruolo di custode del focolare domestico. Tale concezione venne ulteriormente formalizzata da Tetsujirō Inoue, filosofo incaricato dal governo Meiji di redigere il Chokugo Engi 勅語衍義 (“Spiegazione del nuovo Editto Imperiale sull’Educazione”), pubblicato nel 1891.
Dopo più di un secolo, il gender gap in Giappone è diventato uno dei principali motivi di instabilità familiare e una delle malattie sociali più urgenti da sradicare.
Il caso Ōta
Il caso di Ōta Akemi, moglie di Miyazaki Hayao, offre un esempio significativo delle persistenze patriarcali in Giappone, anche in ambiti apparentemente progressisti.
Nel 1972, a due anni dalla nascita del loro secondogenito, Keisuke, il colosso dell’animazione chiese a Ōta di abbandonare la sua promettente carriera da animatrice alla Toei per occuparsi della famiglia.
Lo stesso Miyazaki ha riconosciuto, in diverse interviste, di non essere mai stato pienamente perdonato per questa decisione, che riflette il tradizionale modello di divisione dei ruoli familiari preso in esame.
Questa scelta, pur giustificata dalle necessità pratiche dell’epoca, contrasta con l’immagine di forte rispetto per le figure femminili che emerge dalle opere del regista. Tale incongruenza sottolinea come le dinamiche patriarcali continuino a manifestarsi, radicate nelle aspettative culturali e sociali del Giappone.
La legge sul congedo parentale
Gender Pay Gap: cos’è, cause e soluzioni per il divario retributivo
Nel 1991 è stata introdotta in Giappone la “Legge sul congedo parentale, sul congedo per la cura dei figli e su altre misure per il benessere dei lavoratori che si prendono cura di figli o altri familiari” (Ikujikyūgyō, kaigokyūgyōtō ikuji mata ha kazoku kaigo wo okonau rōdōsha no fukushi ni kansuru hōritsu, 育児休業介護休業等育児又は家族介護を行う労働者の福祉に関する法律).
Entrata in vigore nel 1992, ha garantito il diritto al congedo parentale, permettendo ai lavoratori di prendersi cura dei figli, sia sani che malati. Nonostante le successive modifiche per ampliare i diritti dei genitori, tali misure non hanno prodotto un aumento significativo del tasso di natalità, che nel 2021 è sceso a 1,3.
Nel corso degli anni, si sono osservati segnali di cambiamento, come il primo esercizio di voto femminile del 10 aprile 1946, l’elezione di Doi Takako come prima leader donna di un partito politico nel 1986, e la nascita di movimenti contemporanei come il WAN (Women’s Action Network), la JAWP (Associazione Giapponese delle Donne in Politica) e il movimento KuToo, iniziato dall’attrice e attivista politica Ishikawa Yumi nel 2019. Tuttavia, malgrado i progressi, lo spessore del gender gap in Giappone resta inaccettabile e il ruolo della donna nella società rimane fortemente limitato.
Conclusione sul Gender gap in Giappone
Nel Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, il Giappone si è posizionato al 118° posto su 146 nazioni, risultando ultimo tra i paesi del G7. Tale disparità si riflette anche nel mondo del lavoro, dove le donne rappresentano una fascia sempre più presente ma spesso relegata a posizioni precarie o part-time. Tra il 1982 e il 2012, il numero di lavoratrici è passato da 14,5 a 24 milioni, ma il 90% di questa crescita è attribuibile a impieghi non regolari, occupati prevalentemente da donne che, dopo aver lasciato il lavoro in seguito al matrimonio o alla maternità, rientrano nel mercato con ruoli instabili, sottopagati e privi dei benefici di un lavoro a tempo pieno.
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