Il diritto all’aborto, tra tutela, negazioni e leggi ribaltate.
È stata la legge 194, quella che fino ad oggi ha tutelato le donne pro aborto, eppure è bastato un cedimento da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti per instillare dubbi e domande nella coscienza comune. La Corte Suprema, ha dichiarato infatti che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, e che ogni Stato dovrà legiferare in materia, decidendo definitivamente che il diritto all’aborto non sarà più sotto tutela federale.
Il diritto all’aborto in Italia, viene regolamentato dalla legge 194 del 22 Maggio 1978. Esso consente alla donna, nei casi previsti dalla legge di ricorrere ad un’interruzione di gravidanza in una struttura pubblica della regione d’appartenenza. Tuttavia l’aborto deve seguire alcuni principi cardini.
Secondo la legge è infatti possibile interrompere volontariamente la gravidanza entro i 90 giorni, e le motivazioni devono essere precise: solo se il parto o la maternità comportano un serio pericolo per la salute psico-fisica della donna, o in relazione alle sue condizioni economiche, o in condizioni di malformazioni del concepito. Oltre i 90 giorni in Italia è possibile interrompere la gravidanza solo con un aborto terapeutico nel caso la messa al mondo del nascituro comporti un pericolo per la vita della gestante, oppure quando siano accertati processi patologici invalidanti del feto stesso.
Al momento, secondo i report del ministero della salute, i tassi di aborto volontario scendono anno dopo anno, risultando tra i più bassi del mondo. Tuttavia è bene tenere in conto che con una rapida diffusione della pillola abortiva, si ricorre sempre meno agli interventi chirurgici.
Nonostante l’aborto sia un diritto previsto dalla Costituzione, però, sono molti gli obiettori di coscienza tra i medici, gli anestetisti e ginecologi, professionisti che non intendono praticare alcuna interruzione di gravidanza. Su oltre 180 strutture, 31 posseggono un personale totalmente contrario all’aborto volontario.
Niente più aborto in USA
È passato solo qualche giorno da quando la sentenza della corte suprema americana ha lasciato sotto choc l’intera platea. Con la sentenza del 24 giugno 2022, si è ribaltata infatti la storica decisione Roe Vs Wade di cinquant’anni prima. È la campagna conservatrice generazionale, che ha strappato a milioni di americani diritti riconosciuti da cinquant’anni. È importante sottolineare che nonostante ci sia una legge che lo vieti, l’aborto continuerà ad esserci in diversi stati americani, tuttavia la loro pratica, diventando clandestina, comporterà numerosi rischi e pericoli per la salute di tante donne.
Alla luce di tale verdetto ogni Stato potrà applicare la sua legge in materia d’aborto. Mentre il Texas e il Missouri si dicono favorevoli alla sua abolizione, lo stato di New York assicura una possibilità concreta di poterlo ancora operare in maniera del tutto legale e sicura. Sulla scia di tale libertà, si sono accodati anche la California, l’Oregon e Washington.
Sono molte le persone che riversandosi in strada hanno testimoniato da che parte è giusto restare. Se i conservatori gridano al rovesciamento della sentenza Roe vs Wade, i cosiddetti liberali sono pronti a manifestare per riavere indietro un diritto fondamentale. Il presidente Biden, trovandosi d’accordo con il secondo schieramento, si dice fortemente turbato, vedendo in quel rovesciamento di sentenza un tragico errore frutto di un sunto ideologico fuori dalla razionalità.
Il caso Roe contro Wade
Per capire fin in fondo da dove è cominciato tutto, occorre ripercorrere le tappe storiche americane. La sentenza Roe contro Wade era considerata fino a qualche giorno fa una pietra miliare nella giurisprudenza americana sull’aborto. Prima di tale sentenza l’aborto era disciplinato in maniera del tutto autonoma da ciascun Stato federato. In 30 stati era aspramente vietato fino al caso Roe.
Norma McCorvey, alias Jane Roe, vive un’adolescenza piuttosto turbolenta, a 16 anni si sposa con un uomo violento dal quale ha due figlie. Alla sua terza gravidanza decide con l’aiuto di un team di avvocate, di portare il caso in tribunale per affermare il suo diritto di abortire. In quel caso non erano presenti alcune condizioni avverse per il proseguimento della gravidanza, ma era una scelta libera della donna. Secondo quella precisa interpretazione si era dinanzi ad un’ingerenza statale, ovvero la maternità e l’ulteriore prole avrebbero portato la donna ad accettare ad una vita futura penosa, ricavandone un danno psicologico. Inoltre la cura di un terzo figlio avrebbe messo a dura prova la sua salute fisica e mentale, immettendo un futuro essere umano in una famiglia incapace di occuparsi di lui sotto vari aspetti pratici.
Roe ebbe la meglio, condizionando la legge di 46 stati, dividendo il popolo tra i pro choice (favorevoli ad una scelta libera) e i pro life (non favorevoli all’aborto).
Il blocco della Louisiana
È un tribunale della Louisiana a mettere temporaneamente un blocco all’entrata in vigore della legge contro l’aborto. Fino all’8 Luglio, quindi il diritto d’aborto continuerà ad esserci. La decisione del tribunale avviene in seguito ad una serie di ricorsi messi in atto da cliniche e associazioni per l’assistenza alle donne: secondo loro, infatti, la legge è stata formulata in maniera vaga e imprecisa.
Le proteste sono dilagate in vari Stati americani, poiché la negazione all’aborto sembra essere il primo passo per imbavagliare una serie di diritti conquistati con sudore e intraprendenza (contraccezione, matrimonio gay, misure affirmative action) e molto altro.
Storia d’aborto italiano
In Italia l’aborto era considerato un vero reato regolato dal Codice Penale fino al 1978: chiunque praticasse un aborto, veniva infatti punito con la reclusione da sette a dodici anni se la donna non era consenziente, da due a cinque se la donna era d’accordo. Gli aborti erano un fatto privato e contro legge, per cui la loro esecuzione avveniva in maniera piuttosto grossolana, mettendo a rischio in maniera seria la vita della gestante. Se Papa VI parlava di non “diminuire il numeri dei commensali al banchetto della vita”, l’opinione pubblica aveva scelto da che parte stare.
Un primo disegno legge sull’interruzione della gravidanza venne presentato nel 1973, contemplando l’esecuzione d’aborto solo in caso di rischio della vita e di malformazioni fisiche e mentali del nascituro. Nel 1974, un sondaggio pubblico sottolineò di come fosse necessario occuparsi di tale diritto. La corte costituzionale, quindi un anno dopo, dichiarava che la reclusione per chiunque praticasse l’aborto fosse parzialmente illegittima. Nel 1977 si approvò alla camera una prima proposta di legge per venire incontro a tutti quei casi di aborti clandestini, ovviamente pericolosi. Nel 1978 venne finalmente presentato un nuovo testo, che passando dalla Camera al Senato, divenne quella che conosciamo oggi col nome di legge 194, intitolata per esteso “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Tale testo portava le firme di Andreotti, Anselmi, Bonifacio, Morlino e Pandolfi. La soluzione prevista rispettava sia il diritto di autodeterminazione della donna, ma anche quello di eventuali obiettori di coscienza del personale sanitario. Il testo consente alla donna, quindi, di terminare la gravidanza nei primi 90 giorni di gestazione, mentre si può proseguire per la stessa strada nel quarto e nel quinto mese solo per motivi terapeutici. Nel 1979 furono diverse le persone che intendevano raccogliere firme per un referendum abrogativo della legge 194. I cittadini votanti parteciparono in maniera corposa, ma il referendum non ebbe i risultati auspicati dai conservatori contro l’aborto.
L’Italia, quindi non è stato il primo stato a tendere la mano all’interruzione volontaria di gravidanza, tuttavia, non si colloca nei posti finali: basti pensare che in Irlanda l’aborto è diventato legale soltanto nel 2018.
Tuttavia, nell’emisfero americano, sembra essere tornati indietro di cinquant’anni, dove le madri sembravano poter sbandierare il doppio dei nostri diritti.
Fonte Immagine in evidenza: Pixaybay