C’è spazio per il tema del femminicidio a Sanremo? Nella seconda serata del Festival il cast di Mare Fuori recita un testo sull’amore scritto da Matteo Bussola. Ma il grande errore è presentarlo come un contributo sul tema della violenza di genere.
In questi giorni a Torino il movimento transfemminista Non una di meno ha stanato centinaia di casi di violenza sessuale perpetrati nell’ultimo anno nell’Ateneo torinese. Ha messo in luce il fallimento del Comitato Unico di Garanzia che dovrebbe tutelare gli studenti, ma che di fatto dà una mano a nascondere sotto al tappeto il sistema di violenza strutturale – verbale, psicologica, in alcuni casi fisica – che le studentesse continuano a denunciare. «Ci proteggono le nostre sorelle, non UniTo», dicono in coro.
Si potrebbero riportare i numeri e le statistiche sulla violenza di genere e sui femminicidi, che si sa, parlano più forte delle singole testimonianze. Ma il punto è che limitarsi a elencare i numeri rischia di ridurre a una interpretazione semplicistica un fenomeno complesso, sottaciuto. Sotto a quei numeri che affiorano in superficie c’è un’impalcatura di ferro tenuta su da dinamiche sociali e culturali che nessuna panchina rossa riuscirà mai a far nemmeno vacillare. È un fenomeno, ripetiamolo tutti insieme, sistemico e complesso. E in modo altrettanto complesso va affrontato e decifrato.
Il tema del femminicidio a Sanremo 2024
Nella seconda serata di Sanremo, Amadeus ha chiamato sul palco gli attori della serie tv Mare Fuori, dal 14 febbraio in prima serata con la nuova stagione. A loro, giovanissimi, ha affidato il compito di presentare “le nuove parole sull’amore, per dare un piccolo contributo al cambiamento di fronte a una quotidianità funestata dal femminicidio”. Ascolta, accogli, accetta, impara, verità, accanto, no, insieme sono le parole scelte per parlare di violenza di genere, con in chiosa un bel «Quel che conta è che ricominciamo a guardare gli uni degli occhi degli altri e quello che sceglieremo di vedere dipenderà solo da noi».
Se a Sanremo si deve parlarne così del fenomeno del femminicidio, è meglio non parlarne.
Se non c’è posto per la complessità in un festival della canzone che pretende di restare divertissement, mettete da parte parole come femminicidio e violenza di genere. È più dignitoso, è più rispettoso.
La recitina degli attori di Mare Fuori – per carità, che colpa ne hanno? A qualcuno ieri sera è toccato il ballo del qua qua – che ci spiegano quali sono le parole dell’amore vero è un riempitivo che doveva essere evitato. Le otto parole le possiamo riciclare per spiegare al nipotino o alla nipotina come conquistare la persona amata, con l’ascolto, l’accoglienza, il rispetto e la capacità di restarle accanto. Possiamo anche digerirlo come omaggio all’amore, con un occhio teso a San Valentino.
Il testo di Bussola e le nuove parole dell’amore
Ma non raccontateci che questi cinque minuti tra la promo della nuova stagione di Mare Fuori e l’ennesima versione della sigla cantata da Edoardo siano uno spazio per parlare di un problema che ci sta ammazzando, in tutti i sensi. È l’ennesima forma di deresponsabilizzazione che va a braccetto con la linea politica retorica perbenista e ipocrita che pretende di rappresentarci. È un modo per mettere, anche quest’anno, la spunta accanto a “violenza di genere” nella lista dei temi che devono essere nella scaletta di Sanremo. Un momento da archiviare nelle teche con la dicitura “Femminicidio a Sanremo”, accanto alla letterina della piccola Chiara.
Peccato che per parlare di altri temi sia stata data voce a testimoni diretti come la madre di Giogiò Cutolo e Giovanni Allevi che, effettivamente, della morte e della malattia hanno fatto esperienza sulla propria pelle. Per sfilare dalla lista il tema del femminicidio, invece, è stato chiesto allo scrittore Matteo Bussola di individuare le parole che descrivono l’amore. Non c’è un singolo punto, in questa scelta, che sia corretto.
Le parole del femminicidio e della violenza di genere
Questa specie di nuova Ars Amatoria ha a che fare, per l’appunto, al massimo con l’amore. E l’amore con la violenza, tocca ripeterlo ancora, non ha niente a che vedere. E no, purtroppo quello che scegliamo di vedere negli occhi dell’altra persona non dipende da noi. La responsabilità, purtroppo, non è condivisa. Ed è pericoloso sostenere che vedere il pericolo negli occhi dell’altro è una scelta soggettiva di chi guarda, o meglio subisce.
Se si vuole parlare di femminicidio a Sanremo, bisogna farlo con le parole giuste e affidarsi alle voci giuste.
Violenza, sistematicità, cultura patriarcale, morte, sopraffazione, possesso, silenzio, mascolinità tossica, stupro, consenso: sono queste le parole che descrivono la paura di tornare a casa di sera, l’angoscia di fronte a uno sguardo in più, il terrore di dire no, il camminare a passo svelto con le chiavi in una mano e il numero di emergenza tra le chiamate rapide sul telefono, la paura di convivere, l’imbarazzo di voler essere altro, la vergogna di sentirsi in colpa. E sono parole sporche di sangue. Quella di ieri sera, invece, è al massimo un po’ di vernice rossa lucida sulla coscienza di chi non vuole assumersi responsabilità.
Immagine in evidenza: Festival di Sanremo: il ritorno del cast di Mare Fuori su RaiPlay
Testo bellissimo forte e necessario. Troppi italiani stanno trasformando il nostro paese in una canzonetta deresponsabilizzante.