All’ospedale Sant’Anna di Torino, primo ospedale in Italia per numero di parti con 6.590 nuovi nati nel 2022 e quello in cui si effettua il maggior numero di interruzioni volontarie di gravidanza (2.246 nel 2022), arriva una “stanza anti-aborto” per le donne che hanno intenzione di abortire per spingerle a “superare le cause” che le hanno portate a prendere questa decisione. Si tratta di una convenzione firmata dalla Città della Salute e dalla Federazione Movimento Per La Vita.
Quest’ultima ha mostrato il progetto come un’iniziativa finalizzata a “fornire supporto e ascolto a donne gestanti che ne abbiano necessità o che si sentono costrette a ricorrere all’interruzione di gravidanza per mancanza di aiuti”. L’attività al Sant’Anna verrà svolta da volontari scelti tra quelli con maggiore esperienza nell’accompagnamento in gravidanze difficili.
I complimenti e le critiche dello scenario politico
Del tutto soddisfatto della stanza anti-aborto è Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), assessore alle Politiche Sociali della Regione Piemonte che afferma:“ogni volta che una donna abortisce è perchè si è sentita abbandonata di fronte alla sfida della maternità. Per questa ragione è opportuno aprire nel principale ospedale ostetrico ginecologico del Piemonte uno spazio dove donne e coppie in difficoltà possano trovare aiuto nei progetti a sostegno della vita nascente”.
Se per Maurizio Marrone la stanza anti-aborto è una “conquista sociale per tutta la comunità”, per il Pd è l’ennesima umiliazione nei confronti delle donne, della loro libertà di scelta e di autodeterminazione.
In merito a ciò, la capogruppo del Pd Nadia Conticelli durante il consiglio comunale di Torino ha deciso di scagliarsi contro l’iniziativa attaccando gli intenti:“i luoghi per l’accoglienza delle donne, la tutela della loro salute riproduttiva, della genitorialità consapevole, sono già presenti all’interno del Servizio sanitario nazionale”.
Nadia Conticelli non è la sola a dire la sua, infatti anche Cecilia D’Elia (senatrice del Pd) sottolinea come la Federazione Movimento Per La Vita abbia sempre osteggiato la 194 e la libera scelta. Inoltre, pone l’accento su come la “stanza dell’ascolto” sia in realtà una “stanza della colpevolizzazione e della dissuasione”.
Ma cos’è la 194?
La legge 194 del 22 maggio 1978 prevede che, entro i primi novanta giorni di gestazione, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, può rivolgersi ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o ad un medico di sua fiducia.
Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza.
Dopo essersi rivolta al medico di fiducia, la donna si presta ad una serie di accertamenti sanitari necessari e dopo ciò il medico valuta con la donna e con il padre del concepito, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza.
Qualora il medico di fiducia dovesse riscontrare l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, può rilasciare subito alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare l’interruzione della gravidanza.
Invece, se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico di fiducia può rilasciare una copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, invitandola a soprassedere per sette giorni.
Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere l’interruzione della gravidanza presso una delle sedi autorizzate.
Dunque, sicuramente scegliere di interrompere la gravidanza è una decisione da non prendere a cuore leggero: “ma può la stanza anti-aborto essere lo strumento di una battaglia politica ed ideologica?”
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