Ormai, che il Giappone sta affrontando una gravissima crisi demografica non è più un segreto. Ciò ha portato a un calo costante del tasso di natalità e a un rapido invecchiamento della popolazione; fenomeni che hanno implicazioni significative per l’economia e la sicurezza nazionale. Secondo il MHLW (kōseirōdōshō 厚生労働省, Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare), il tasso di fertilità è sceso sotto l’1,2 figli per donna lo scorso anno, valore ben inferiore al 2,1 necessario per garantire la soglia media di stabilità demografica di un paese.
La crisi dell’arcipelago è un fenomeno complesso, radicato in dinamiche storiche, economiche e sociali.
Storia della crisi demografica in Giappone
Sebbene associato principalmente agli ultimi decenni, i segnali di un declino demografico erano già visibili negli anni ’20 del Novecento. Nonostante l’aumento significativo della popolazione totale tra il 1872 e il 1944 (da 34,8 a 74,4 milioni), il tasso di fertilità cominciò a diminuire nel 1920, scendendo da 5,24 a 4,36 figli per donna entro il 1937. Secondo una ricerca del professor Tkaczyński, condotta nel 2023, questo calo era correlato anche alla diminuzione delle donne sposate in età fertile (15-49 anni), che passò dal 68,3% al 64,1% nello stesso periodo.
Analisi della crisi demografica in Giappone
La particolarità di questo processo d’invecchiamento demografico risiede nel fatto che non è direttamente riconducibile a eventi traumatici come guerre, epidemie o crisi economiche. Piuttosto, riflette una combinazione di cambiamenti sociali e culturali, inclusa la crescente urbanizzazione, l’emancipazione delle donne, e la progressiva adozione di modelli familiari meno numerosi rispetto al passato.
Il declino non fu episodico: un censimento del 1950 confermò una riduzione aggravata dalle morti causate dall’invasione della Cina negli anni ’30 e dalla Seconda Guerra Mondiale (oltre 1,7 milioni di militari e 393.000 civili giapponesi).
Il rientro di 4,4 milioni di soldati dopo la guerra portò a un breve baby boom tra il 1947 e il 1949 (circa 2,7 milioni di nascite annue), ma il tasso di natalità crollò nuovamente a 2 milioni nel 1950 e si dimezzò da 4,54 figli per donna nel 1947 a 2,04 nel 1957; uno dei declini più rapidi mai registrati a livello globale.
Nel 1966, anno dello Hinoe Uma (“cavallo di fuoco”), si verificò un fenomeno molto curioso: il tasso di natalità del Paese calò del 31% rispetto al 1965, per poi risalire del 42% l’anno successivo. Questo evento, che si ripete ciclicamente ogni sessant’anni, è legato alla credenza tradizionale secondo cui le bambine nate sotto il segno del cavallo di fuoco porterebbero sfortuna alla famiglia, evidenziando la persistente influenza delle superstizioni sulle scelte familiari e demografiche del paese anche in tempi non troppo lontani dai nostri.
Dopo l’introduzione della legge sull’aborto
La crisi demografica in Giappone a metà Novecento è parzialmente attribuibile alla revisione della legge sull’aborto del 1948, che approvò l’interruzione di gravidanza per motivi economici.
Tra il 1953 e il 1961 si registrarono oltre un milione di aborti l’anno, riflettendo l’adozione del modello “2+2”, in cui le famiglie con due figli evitavano ulteriori gravidanze.
Nel 1950, con 2,3 milioni di nascite e 320.150 aborti, il rapporto era di 7,19:1. Nel 2020, con 840.835 nascite e 141.433 aborti, il rapporto è sceso a 5,94:1. Ciò evidenzia un calo proporzionale delle nascite rispetto agli aborti, nonostante la riduzione complessiva degli aborti in termini assoluti.
Dal 1995, inoltre, le fasce d’età delle donne che ricorrono all’aborto sono cambiate: se in passato prevalevano quelle tra i 30 e i 34 anni, nel 2020 la maggioranza (25%) era nella fascia 20-24 anni, segnalando un mutamento nelle scelte riproduttive.
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