A poco più di quarant’anni dalla scoperta della malattia AIDS nel mondo occidentale e malgrado i notevoli progressi scientifici che ne hanno fatto crollare il numero di decessi, non solo la malattia rimane una piaga per tanti paesi in via di sviluppo, ma ancora oggi non ci si ostina a sensibilizzare adeguatamente sul tema e le persone sieropositive portano sulle spalle il peso di uno stigma che pare essere rimasto congelato nel tempo.
1. Ma cos’è l’AIDS?
In primis, tutt’oggi si fa poca chiarezza sulla distinzione tra AIDS e HIV, sigle che spesso e volentieri vengono confuse come sinonimi. Gli HIV sono i due virus dell’immunodeficienza umana responsabili di un’infezione che, se non trattata repentinamente, porta allo sviluppo della malattia AIDS vera e propria. Quest’ultima causa un progressivo indebolimento del sistema immunitario che spinge, sempre di più nel corso del tempo, ad ammalarsi di gravi infezioni e tumori, di norma molto rari in una persona non-immunodeficiente, portando infine alla morte. Sono state individuate tre vie principali di trasmissione dell’HIV: sangue, rapporti sessuali penetrativi e contagio verticale da madre a feto. Qualora sia necessario specificarlo ancora oggi nel 2024, l’HIV non si trasmette attraverso strette di mano, abbracci, baci, morsi o graffi, oltre che tramite vestiti, asciugamani, lenzuola o qualsiasi oggetto toccato da una persona sieropositiva.
2. Prime testimonianze della malattia AIDS e discriminazioni
Nel 1981 la malattia AIDS inizia a diffondersi negli Stati Uniti, pur essendo già presente da anni in altre parti del mondo ma scambiata per qualcos’altro. Il 5 giugno di quell’anno viene riconosciuta ufficialmente per la prima volta e viene registrato un vertiginoso aumento di polmoniti e del sarcoma di Kaposi nelle comunità gay delle aree metropolitane di New York, Los Angeles e San Francisco, con un decorso della malattia estremamente grave e un alto numero di decessi. Da lì i casi registrati aumentarono costantemente e iniziano a sorgere le prime teorie: il New York Times non si ritrae dal far circolare sulla stampa i termini più disparati, come GRID (Gay-related immune deficiency) o cancro dei gay. La società del dopoguerra, cresciuta dopo l’eradicazione del vaiolo e la scoperta dell’antibiotico, tarda poco ad allamarsi, ma quantomeno l’opinione pubblica eteronormativa si consola nell’associare la malattia esclusivamente a gruppi marginalizzati della popolazione, in particolare gay e donne trans. Il presunto legame tra AIDS e comunità queer è frutto della rivoluzione sessuale del ’68 e della maggiore facilità con cui il virus si propaga attraverso i rapporti anali, ma non fa che distogliere le persone da quello che è un problema più che concreto anche per la classe dirigente etero e cis.
3. AIDS oggi: notevoli progressi scientifici…
Dal 1996 una combinazione di farmaci riesce a rallentare enormemente e cronicizzare il decorso della malattia AIDS nell’organismo. Oggi è possibile minimizzare il rischio di contagio attraverso farmaci come PrEP e PEP: il primo è un farmaco di prevenzione assunto prima e dopo un rapporto a rischio, mentre la PEP è un farmaco d’emergenza e va assunto entro 48 ore dal rapporto. I dati dell’UNAIDS stimano che nel 2021, a fronte di 38,4 milioni di persone positive, ci siano state 1,5 milioni di nuove diagnosi contro le 3,2 milioni del 1996 e che il numero di decessi continui a diminuire, registrandone 650.000 nello stesso anno. Ciononostante, il virus è tutt’altro che debellato e anzi, sebbene in Occidente la malattia AIDS sia diventata endemica e la morte ad essa correlata sia considerata un evento eccezionale, l’AIDS è ancora oggi mortale in diversi paesi in via di sviluppo, soprattutto nell’Africa subsahariana. Malgrado solo il 12% della popolazione mondiale viva in Africa, si stima che ben il 60% delle persone malate di AIDS viva nel continente.
4. …ma i progressi sociali?
La strada da percorrere è ancora lunga, ed è a dir poco fondamentale portare l’educazione sessuale nelle scuole italiane e sensibilizzare sulla prevenzione e l’uso del preservativo, oltre che sulle caratteristiche della malattia e della terapia a essa correlata. Pochissimi sanno, infatti, che il trattamento antiretrovirale sopprime la replicazione dell’HIV, riducendo la carica virale a livelli tali per cui non è più rilevabile in laboratorio e dunque trasmissibile se si segue correttamente la cura. Questa scarsissima consapevolezza genera uno stigma che reca gravi danni psicologici alle persone sieropositive, che si sentono ancora più emarginate e costrette a nascondere la propria positività, pur potendo godere di un tenore di vita pari a quello di una persona non affetta dalla malattia AIDS (almeno nei paesi sviluppati).
Nonostante sia stato provato che la maggior parte delle trasmissioni (in taluni paesi anche quasi esclusivamente) avviene attraverso rapporti eterosessuali, ancora oggi l’immaginario collettivo conserva, sin dagli anni ’80, un’idea di AIDS associata a determinate soggettività queer che è frutto di un certo tipo di propaganda, la quale non ha fatto altro che esacerbare ulteriormente l’avversione, da parte di una società costruita a misura dell’uomo bianco, etero e cis, nei confronti di queste stesse soggettività queer. Una comunità, quella queer, che si sente ancora emarginata e discriminata a livello sociale, nonostante contribuisca al ciclo di produzione e consumo di questo sistema malato che prende il nome di capitalismo.
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