È polemica per la nuova campagna del turismo presentata dalla Santanché. La Venere di Botticelli in versione virtual influencer non convince. E fa anche un po’ ridere.
Mettiamo un sito di promozione del turismo in Italia, Italia.it. Mettiamo la stagione primaverile e l’estate imminente, arrivi da record sin da ora. Mettiamo di trovare nella home page del sito ufficiale del Turismo una Venere di Botticelli in minigonna di jeans o in tailleur azzurro, mentre si scatta un selfie davanti a Piazza San Marco, magari di spalle, come tutti quei turisti che fotografano e si dimenticano di osservare).
La campagna pubblicitaria di Armando Testa
La trovata, fresca di presentazione, porta la firma del gruppo pubblicitario Armando Testa che l’ha realizzata per l’Enit, Agenzia nazionale del turismo, ed è stata presentata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè lo scorso 20 aprile a Roma alla presenza del ministro degli esteri Antonio Tajani e al ministro dello Sport Andrea Abodi. La Venere influencer, che presto sarà il volto di video promozionali e campagne affissione in gran parte del mondo, è ritratta mentre mangia una pizza sul lago di Como, mentre posa in bici davanti al Colosseo in short blu e nastro tricolore tra i suoi fluenti “capei d’oro a l’aura sparsi” o in camicetta morbida annodata sulla pancia mentre si rilassa sulla spiaggia di Polignano. Un viaggio, insomma, tra i luoghi comuni, che racconta la solita immagina stereotipata dell’Italia e lo fa anche attraverso una comunicazione che si annuncia inefficace.
Sgarbi: “Roba da Ferragni”
Venere di Botticelli si fa per dire, con il fisico snello delle influencer allo specchio, il cellulare in mano, i capelli più corti rispetto all’originale e, per i più attenti, persino un filo di trucco; naturalmente, manca anche quell’espressione ambigua e pudica che ha reso la creatura di Botticelli un’icona degli Uffizi, dell’Italia e una fotografia dell’ideale di bellezza del tardo Quattrocento. Sgarbi l’ha definita “Roba da Ferragni”.
La stessa Chiara Ferragni si è prestata al gioco, sottolineando la somiglianza sospetta tra la Venere sul lago di Como con la pizza in mano e la famosa “foto della pizza che si rigenera” di qualche anno fa, che la ritraeva con lo stesso panorama alle spalle e un pezzo di pizza in mano.
La cosa appare sempre meno casuale a chi ha un po’ di memoria social e ricorda che proprio la Ferragni tre anni fa monopolizzava le chiacchiere da tastiera con la foto di lei davanti al quadro della vergine di Botticelli che nasce dalla spuma del mare, quella vera degli Uffizi.
Certo, quando nel video promozionale è Venere stessa a prendere la parola, a presentarsi come una “influencer virtuale” di 30 anni o poco più e a sponsorizzare il suo profilo Instagram, si ha un sussulto, perché forse il Bel Paese un’idea migliore se la meritava e il Botticelli una fine più dignitosa anche.
La Venere di Botticelli: da icona d’arte a personaggio social
La pubblicità giustifica così l’idea: “Avevamo bisogno di un testimonial all’altezza, qualcuno di molto moderno, ma con una grande storia alle spalle, riconoscibile attraverso il suo sguardo, e il segno inconfondibile dei suoi capelli”. “Presto mi ritroverete ovunque: nei borghi, nelle piazze, negli aeroporti, nelle ferrovie, nei talk show e nei principali eventi”, promette la Venere parlante. E mentre lo dice, il video mostra la crescita vertiginosa del numero dei like del profilo #VenereItalia23.
Di certo, in pochi avrebbero immaginato un’evoluzione così straniante da icona di arte e bellezza a personaggio “iconico”, nel senso più dilatato e inflazionato che il termine ha assunto negli ultimi anni. Anzi, come si dice, “iconic”. Si dà il caso, infatti, che lo slogan della campagna sia Open to meraviglia, in barba alle annose – e dibattutissime – questioni sui forestierismi sollevate dal vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli, che appena poche settimane fa proponeva di sanzionare l’utilizzo non indispensabile di parole straniere nelle comunicazioni pubbliche, nelle conferenze, nelle università. “In un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”, diceva.
Alla luce di tutto questo, quell’Open to meraviglia è apparso a molti commentatori e utenti ancora più cringe del fotomontaggio della Venere. Anzi, più imbarazzante, per buona pace dei deputati.
“Che roba è? Che lingua è?”, ha commentato il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi a La Nazione.
Le polemiche
La campagna pubblicitaria ha scatenato cinguettii social, meme e commenti di ogni genere, i più dei quali sono d’accordo nel definirla “Na’ cafonata”. Sgarbi, che sembra non aver apprezzato affatto l’idea, ha aggiunto: “La pubblicità all’Italia la fanno le opere d’arte, senza bisogno di travestirle”. Nessun riscontro positivo anche dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, che ha definito la campagna “macchiettistica” e ha ammesso di non condividere la caricatura dei capolavori artistici che dovrebbero, al contrario, assicurare prestigio e credibilità al nostro Paese.
Una macchietta costata all’Italia ben 9 milioni di euro e che accompagnerà l’immagine dell’Italia per diversi anni.
Non è la dissacrazione dell’arte classica a spaventare, non si contano le correnti artistiche che, nei secoli, hanno mescolato i codici linguistici e hanno ripensato in chiave pop le icone e le forme consacrate dalla tradizione. Forse è più una questione di gusto. O meglio, di un tipo di gusto che è specchio dei tempi, specchio di un turismo sempre più superficiale e inconsapevole in un’Italia che ancora non ha il coraggio di pretendere di più. Ci si chiede se un Paese che, pur costituendo lo 0,50 % della superficie terrestre, vanta il maggior numero di siti inclusi nel Patrimonio dell’Umanità, abbia davvero bisogno di tutto questo. Ci si chiede se questo sia il modo giusto di comunicare e valorizzare la bellezza che ci appartiene, una faccenda che forse richiederebbe un impegno istituzionale più strutturato, meno maldestro e meno “acchiappa click”. Ci si chiede, soprattutto, se la Generazione Z sia davvero così ingenua da sentirsi sensibilizzata e avvicinata all’arte e alla cultura da una trovata così palesemente ruffiana e accondiscendente.