Negli ultimi anni, con lo sviluppo della tecnologia si sente spesso parlare del “revenge porn” (in italiano potremmo tradurlo come “vendetta pornografica” o “porno vendetta”), pratica che consiste nel pubblicare foto intime e contenuti sessuali del proprio partner o ex partner, ma anche di un qualsiasi conoscente o personaggio famoso, sulle pagine social di Instagram e soprattutto Telegram. Lo scopo è quello di rovinare la vita della vittima: ledere ai suoi rapporti familiari e amicali ma soprattutto distruggere la sua carriera lavorativa, spesso spingendola anche al suicidio. Il revenge porn oggigiorno è a tutti gli effetti diventato un reato e la legge ha stabilito delle vere e proprie sanzioni da pagare nel caso in cui immagini private venissero diffuse all’insaputa o senza il permesso del soggetto individuato all’interno della foto o del video. Vediamo insieme le conseguenze legali del revenge porn.
Quali sono nello specifico le conseguenze legali del revenge porn?
In Italia questa pratica è stata riconosciuta come reato il 19 luglio del 2019, in seguito all’episodio di suicidio di Tiziana Cantone, e come “Codice rosso” il 9 agosto dello stesso anno. Prima di questo avvenimento, le punizioni esistenti erano prevalentemente legate al fenomeno della NCP (pornografia non consensuale), ma non erano così specifiche ed è per questo motivo che è stato introdotto l’articolo 612-ter del codice penale che recita: “concernente il reato di diffusione di immagini e video sessualmente espliciti”.
Il revenge porn prevede come conseguenze legali la reclusione da uno a sei anni e il pagamento di una multa che va dai 5mila ai 15mila euro e sono previste due ipotesi differenti:
- La realizzazione, o sottrazione e la conseguente diffusione di immagini dal contenuto sessualmente esplicito senza il consenso del soggetto ivi raffigurato;
- La condivisione senza consenso di materiale ricevuto o acquisito per volontà del soggetto.
Aggravanti
La norma prevede, inoltre, anche delle ipotesi di aggravanti: la prima relativa alla relazione con il soggetto che compie il reato e allo strumento utilizzato, la seconda è, invece, relativa alla vittima. Nello specifico, la pena aumenta nel caso in cui a commetterla è un coniuge o un ex coniuge e se i fatti vengono commessi tramite l’utilizzo di strumenti informatici o telematici; la seconda è un’aggravante che prevede l’aumento della pena da un terzo alla metà nel caso in cui la vittima sia una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o una donna in gravidanza. Per i minorenni, invece, non vengono previste delle aggravanti, hanno le stesse tutele previste per gli adulti.
Come difendersi dal revenge porn?
Le vittime di questa pratica possono rivolgersi alle autorità entro sei mesi dalla scoperta della pubblicazione del materiale pornografico. In questo caso si parla di delitto “a querela della persona offesa” e può essere denunciato anche da terze persone e non dalla vittima stessa. Una volta presentata la querela, però, quest’ultima non può essere ritirata a meno che non si tratti di una remissione processuale, ovvero all’interno di un processo durante il quale è il giudice a valutare le intenzioni della vittima al momento della denuncia. Questo per evitare che minacce possano in qualche modo spaventare chi sceglie di denunciare.
Nei casi in cui le vittime siano donne incinte o persone in stato di inferiorità fisica o psichica, non c’è necessità di procedere per querela, ma è prevista la procedura d’ufficio.
Oggi i paesi che puniscono la Revenge pornography con specifiche discipline penali sono solo l’Australia, l’Italia, le Filippine, Malta, il Regno Unito, il Canada, il Giappone, lo stato di Israele, e alcuni Paesi degli Stati Uniti e si spera che altri paesi inizino a riconoscere la pratica come un fenomeno sempre più allarmante e dunque si mobilitino per tutelare le vittime sempre più numerose di questa violenza.
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