Molestie sul lavoro: il #metoo

Molestie sul lavoro: il #metoo

Quella delle molestie, comprese quelle sul lavoro, è una tematica assai delicata e complessa da definire, poiché la concezione di violenza cambia molto da individuo a individuo. Questo perché? Innanzitutto, questo è dovuto alla società in cui si è vissuti e cresciuti, alla propensione dell’essere umano nel voler accettare che determinate dinamiche non debbano rientrare nel range della normalità, ma anche quanto una persona è in grado di rispettare se stessa, ovverosia quanto una persona sia consapevole che determinati approcci siano sbagliati e che quindi non cedere ad eventuali richieste per preservare se stessi non debba essere indice di pentimento.

Che cosa sono le molestie e come si affrontano?

Il dizionario Treccani riporta che il termine molestia, (dal lat. molestia, der. di molestus «molesto») indica una situazione incresciosa di pena, di tormento, di disagio, provocata da persone o cose che rompe gli equilibri psico-fisici di un individuo.

Affrontare una molestia non è affatto semplice; in primo luogo per chi l’ha ricevuta, ma anche per le persone più care che, magari, sanno e si sentono impotenti al riguardo; anche se, purtroppo, spesso e volentieri, o per vergogna o per la paura di denunciare, la persona molestata tende ad affrontare “by yourself” la questione. Secondo quanto riportato da Cristina Da Rold nell’articolo “La violenza, le denunce e gli stupri in Italia. La statistica della paura”, pubblicato da Il Sole 24ore, il tasso di violenza sulle donne in Italia è ancora molto elevato e questo è stato proprio riportato dall’analisi Istat nel Rapporto SDGs 2018 per monitorare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tuttavia, se delle molestie sulle donne abbiamo numeri dettati da indagini concrete, questo non accade per gli uomini. Quello della molestia sugli uomini è un fenomeno diffusosi in scala ridotta rispetto a quello delle donne, ma è comunque un problema esistente che conta, nell’indagine Istat compiuta nel 2015, circa 574 mila uomini che hanno subito violenza almeno una volta nella vita.

Il movimento di denuncia americano delle molestie sul lavoro 

In secondo luogo, l’attuazione di una violenza può avvenire anche in ambito lavorativo, soprattutto ai vertici alti, come ad esempio in campo cinematografico; in relazione a ciò, occorre sottolineare la nascita di un movimento chiamato “Me Too”. Il movimento prende nome dall’hashtag, creato dalle Silence Breackers, diffusosi virtualmente nel 2017, dopo che vennero rivolte delle accuse al produttore cinematografico americano H. Weinstein da molte attrici hollywoodiane e non; infatti, la stessa attrice e regista italiana Asia Argento raccontò di aver subìto un abuso sessuale da Weinstein. Inizialmente, l’hashtag venne diffuso da un’attivista nel 2006 per difendere le donne di colore vittime di molestie e stupri e venne rilanciato sui social nel 2017 da A. Milano, condiviso poi da milioni di utenti. Riutilizzandolo nel 2027, però, ha assunto una connotazione leggermente diversa rispetto al passato, in quanto allude alle molestie sessuali consumate sui luoghi di lavoro e di socializzazione. Sempre nello stesso anno, il periodico americano Time ha scelto “Me Too” come “persona dell’anno” e inoltre, è stato grazie al movimento che si è riaperto il dibattito di genere, dando voce a disagi che da anni governano molti ambienti lavorativi e che hanno costretto migliaia di donne a lavorare e vivere nel disagio. Quando però iniziarono le denunce, molte attrici furono criticate per essere state zitte a lungo, per aver denunciato pubblicamente e non nei tribunali e per essere state, in qualche modo, loro complici.

Il flop di Luca Barbareschi

Sulla questione “Me Too” anche Le iene, in un loro reportage, hanno sottolineato cosa Luca Barbareschi ha detto durante l’intervista rilasciata al giornale “La Repubblica” al riguardo allegando testimonianze visive e auditive di donne molestate; infatti, quest’ultimo ha sostenuto che “… Le attrici che denunciano molestie sul lavoro cercano pubblicità. Sono stato omosessuale, ma finto moralismo e politically correct hanno stufato”. Come contro risposta Cinzia Spanò, presidentessa dell’associazione Amleta, ribatte sostenendo che: “Pubblicità? Non esiste un’attrice che sia diventata famosa denunciando una violenza. Al contrario, l’esposizione in quest’ambito è un atto di grande coraggio e generosità verso tutte le altre. Un’attrice che si espone è consapevole di correre un grande rischio, è proprio per questo che riusciamo a procedere con le denunce soltanto nel 5% dei casi. Ma anche questo tabù si sta infrangendo”. Insomma, successivamente a questo botta e risposta, Barbareschi, resosi conto dell’uscita infelice e un tantino misogina fatta, sempre rilasciando un’intervista a “La Repubblica”, si è giustificato dicendo che non ha mai minimizzato l’importanza e il coraggio di chi denuncia, ma ha solo messo in guardia verso chi usa la carta della violenza per mettersi alla luce e raggiungere i propri obiettivi lavorativi.

Ora, sull’onda di ciò che è stato detto, è possibile domandarsi innanzitutto se mai una persona possa mai dichiarare il falso riguardo un argomento così tanto delicato e importante come questo e poi come mai ancora oggi, nel 2023, si abbia la concezione che solo la donna possa essere bugiarda e prevaricatrice sociale? Questo sicuramente è frutto di un pensiero malsano radicato nella società, ma è anche vero che non c’è più cieco di chi non vuol vedere, e dunque vivere passivamente questa situazione e concezione non fa altro che far rimanere nella mente anche delle nuove generazioni una visione errata e distorta della donna.

Fonte immagine in evidenza: Pixabay

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