Nimby è un acronimo ormai diffuso anche in Italia, per indicare una forma di opposizione, accompagnata da manifestazioni pubbliche, volte a realizzare un’opera d’arte di forte impatto sociale. I fenomeni Nimby riguardano tradizionalmente l’avversione per la realizzazione di impianti industriali, ma anche tutte quelle infrastrutture per il trasporto, impianti di produzione di energia elettrica ed altro ancora.
Il fenomeno Nimby in Italia: sindrome o movimento?
Il termine Nimby è un acronimo inglese che significa letteralmente: “not in my back yard, non nel mio cortile”.
Per quanto riguarda l’introduzione nel lessico italiano, le prime testimonianze relative alla presenza del termine tra i vocaboli utilizzati, risalgono ai primi anni Novanta.
La vera e propria diffusione, probabilmente è avvenuta in concomitanza con la diffusione di tali forme di protesta e opposizione.
Le opere di forte impatto, che per convenzione non dovrebbero causare forti problematiche, sono costantemente monitorate dall’Osservatorio Nimby Forum.
In realtà, lo scopo primario del Nimby Forum, è quello di attuare una politica seria e rassicurante, che sappia dare le giuste risposte, in termini ambientali ma anche economici, ai cittadini.
Il fenomeno Nimby, classificato in alcuni casi come una vera e propria sindrome, si pone l’obiettivo di valutare e quindi contestare tutte quelle costruzioni ed impianti che andrebbero a deturpare l’ambiente o ad ostacolare attività ecologiche, in netta discordanza con l’ambiente in cui sorgono.
Quando si parla di sindrome, è chiaro che gli studiosi del settore si riferiscono al termine in senso strettamente patologico, identificando il fenomeno come se fosse una malattia.
Invece, i veri “protagonisti del fenomeno” preferiscono parlare di “effetto Nimby”, inteso come atteggiamento produttivo che conduce ad un risultato concreto e soprattutto utile per la collettività.
Attenzione alla qualità della vita e opposizione alle grandi opere
Il movimento Nimby, secondo quanto ribadito più volte dagli stessi “protagonisti”, si oppone concretamente alle numerose realizzazioni massicce e pericolose sia per l’ambiente che per l’incolumità dei cittadini, che vi si oppongono.
Ciò che preoccupa non è tanto l’impatto ambientale, ovviamente preso in considerazione, quanto la qualità della vita, che potrebbe nettamente peggiorare, subendo gravi conseguenze.
Tra le ragioni della protesta “popolare”, secondo il rapporto annuale, è al primo posto l’impatto con l’ambiente, 30,1% degli intervistati. L’altra preoccupazione è la richiesta dei cittadini di una maggiore partecipazione attiva ai processi decisionali, 21,3% è la percentuale delle persone che non si sente coinvolta.
Tutto ciò inevitabilmente scatena polemiche, soprattutto tra coloro che vedono nel movimento Nimby, una opposizione non produttiva e di carattere individualistico.
Spesso infatti, la dicotomia e le polemiche con quelle che dovrebbero configurarsi come nuove opere strutturali, nasce da profondi motivi politici e si ricollega dunque a vere e proprie ideologie e prese di potere.
Ricordiamo che in Italia, il dibattito pubblico prevede che ci si confronti su osservazioni, proposte e dubbi da parte dei cittadini, associazioni e istituzioni interessate durante le fasi preliminari di progettazione. Tuttavia, lo strumento è reso obbligatorio solo per le grandi opere pubbliche, per questo, probabilmente ciò che manca, (e viene meno anche alla base del movimento o fenomeno Nimby) è la volontà di esplorare nuove soluzioni progettuali e quindi il confronto.
Ogni individuo rappresenta un cittadino facente parte della collettività, intesa come società nella quale vive e con la quale si rapporta, quindi, le opposizioni a qualcosa che possa deturpare l’ambiente o fortemente dissonante con esso, sono plausibili, se costruttive.
In questo scenario, e con un movimento che diventa sempre più grande, appare necessario circostanziare e motivare le proprie risposte, per esplorare nuove strade e soluzioni in grado di soddisfare i bisogni di tutti.
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