Referendum 8-9 giugno: perché si vota?

Referendum 8-9 giugno

Nei giorni 8-9 giugno, le cittadine e i cittadini italiani sono chiamati a votare ai referendum popolari abrogativi circa cinque quesiti in materia di regolamentazione del lavoro e cittadinanza. Essi comprendono rispettivamente quattro quesiti referendari sul tema del lavoro, e l’ultimo riguardante l’attuale legislazione circa i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana.

I primi quattro quesiti

Il tema  lavoro è riservato ai primi quattro quesiti referendari ritenuti ammissibili dalla Corte Costituzionale, per i quali sono state raccolte più di 4 milioni di firme.

 Primo referendum:

«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»

In altri termini, col referendum dell’ 8-9 giugno, si vuole abrogare la legge per cui: a quei lavoratori e a quelle lavoratrici licenziati in modo illegittimo, così come ritenuto da una dichiarazione del giudice, è precluso il reintegro nel posto di lavoro.

Secondo referendum:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»

Lo scopo del quesito è di cancellare il tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese, presenti in ampio numero nel nostro paese (circa 3 milioni e 700mila). In tal modo, sarà possibile accrescere le tutele per i lavoratori, prima costretti ad ottenere un massimo di 6 mesi di mensilità di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo. Grazie a tale abrogazione parziale, sarà il giudice a determinare il giusto indennizzo.

 Terzo referendum:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»

Questo quesito referendario mira a rendere il lavoro più stabile e sicuro, ripristinando l’obbligo di fornire una giustificazione all’uso di contratti a tempo determinato. Il precariato è un problema molto serio in Italia, dove circa 2,3 milioni di persone lavorano con contratti a tempo determinato. Attualmente,  le imprese possono stipulare contratti tali per un massimo di un anno senza fornire cause o motivazioni capaci di spiegare la temporaneità del lavoro.

 Quarto referendum:

«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

In sostanza, il testo propone di garantire più sicurezza nei luoghi di lavoro, rendendo le imprese responsabili anche della sicurezza degli appaltatori e impedendo l’uso di aziende non affidabili.

Il tema della sicurezza sul posto di lavoro è, purtroppo, ancora molto diffuso: si stima che ogni giorno tre persone muoiono mentre lavorano, una vera e propria emergenza di cui si parla troppo poco.

La proposta si prefissa di cambiare le leggi attuali che, in caso di infortunio nei lavori appaltati (cioè, quando un’impresa affida ad un’altra azienda un certo lavoro), non permettono di estendere la responsabilità all’azienda che ha commissionato il lavoro.

In aggiunta, si renderebbero più stringenti le condizioni che permettono di scegliere appaltatori che non rispettano le leggi sulla sicurezza sul lavoro e non sono finanziariamente solidi.

Il quesito referendario sulla cittadinanza

L’ultimo quesito del referendum dell’8-9 giugno riguarda la cittadinanza:

«Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?»

Dopo una lunga campagna di promozione da parte di attivisti e gruppi politici, il referendum sulla cittadinanza ha raggiunta la cifra di 500.000 firme richieste dall’art. 75 della Costituzione Italiana: «È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali».

La campagna Referendum Cittadinanza è stata depositata in Cassazione con ben 637 mila firme, una piccola, grande vittoria inaspettata.

Cosa viene modificato?

«Grazie a questo referendum verranno ridotti da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana che, una volta ottenuta, sarebbe automaticamente trasmessa ai propri figli e alle proprie figlie minorenni».

Bisogna precisare che tale referendum non riguarda lo Ius Scholi, tantomeno lo Ius Sanguinis. Lo scopo è di modificare l’articolo 9 della legge n. 91/1992, per ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia per poter ottenere la cittadinanza.

In aggiunta, il referendum non riguarda in alcun modo altri requisiti per ottenere la cittadinanza italiana per naturalizzazione:

  • Conoscere la lingua italiana.
  • Avere un reddito adeguato e documentato negli ultimi anni.
  • Non avere motivi ostativi legati alla sicurezza della Repubblica.

Anche con la riduzione del requisito a 5 anni, chi fa richiesta dovrà comunque rispettare tutti i suddetti criteri stabiliti dalla legge.

Infine, ciò consentirebbe di allineare l’Italia ai maggiori Paesi Europei, che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantendo ricchezza e crescita per l’intero Paese.

Fonte immagine: prefettura.interno.gov (Ragusa)

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