Il governo metropolitano di Tōkyō, una delle istituzioni con il più alto tasso d’occupazione a livello nazionale, ha recentemente annunciato, attraverso la governatrice Koike Yuriko, l’introduzione di una settimana lavorativa di quattro giorni a partire da aprile 2025. La proposta è strettamente legata alla grave crisi demografica, che ormai ha raggiunto un apice troppo preoccupante per continuare ad essere ignorata.
Ragioniamo su quali potrebbero essere le implicazioni sociali derivanti dall’adozione della settimana lavorativa corta in Giappone!
Premesse della proposta
Oltre alla settimana “breve”, sarà implementata una nuova politica di congedo parziale per i dipendenti coinvolti nella cura dei figli, con l’obiettivo di promuovere una maggiore flessibilità tra lavoro e vita privata e di contrastare l’abbandono del lavoro da parte delle donne. Tra le iniziative proposte, inoltre, i genitori con figli che frequentano le elementari avranno la possibilità di lasciare il lavoro anticipatamente, in cambio di una modesta riduzione salariale, per trascorrere più tempo con i propri figli.
Tuttavia, rinunciare a parte del proprio reddito mensile potrebbe non rappresentare una soluzione sostenibile a lungo termine, considerando che i costi per il mantenimento (30,1%) e l’educazione dei figli (28,3%) sono tra le principali ragioni che spingono molte coppie a ricorrere all’interruzione di gravidanza o a non valutare affatto la possibilità di formare una famiglia, secondo uno studio del Professor Tkaczyński del 2023.
In passato, iniziative di settimana lavorativa corta in Giappone sono state portate avanti da aziende private come Microsoft Japan, che nel 2019 ha registrato un incremento del 40% nella produttività durante una sperimentazione della settimana lavorativa di quattro giorni. Anche realtà più piccole, come la Sakawa Co. LTD di Tōkyō, specializzata in strumenti didattici interattivi, hanno implementato misure simili, evidenziando miglioramenti nella soddisfazione e nell’efficienza dei dipendenti. Questi esempi dimostrano che tale politica, se ben gestita, può avere effetti positivi sia per i lavoratori che per le aziende.
La settimana lavorativa corta in Giappone: cura o mero palliativo?
Decenni di procrastinazione e fallimento nel definire una politica demografica nazionale efficace hanno portato il Giappone a diventare uno dei paesi con i più bassi tassi di nascita e fertilità, entrando nel fenomeno di rimpicciolimento della popolazione.
Il passaggio da 125° a 118° posto nel Global Gender Gap Report in un solo anno e le proposte di snellimento della settimana lavorativa restano ancora palliativi momentanei e insoddisfacenti per una società che continua ad essere schiacciata dai propri meccanismi arcaici.
L’antica rigidità dei ruoli familiari tradizionali si è trasferita alle strutture sociali e lavorative, dove la stessa mancanza di flessibilità si riflette nelle dinamiche professionali.
L’insistenza su modelli lavorativi stacanovisti e altamente competitivi ha favorito un malessere crescente, piuttosto che promuovere quel benessere che il progresso dovrebbe apportare.
Questa situazione ha limitato l’emergere di un equilibrio tra vita lavorativa e familiare, intrappolando la società giapponese in un circolo vizioso che perpetua una visione ristretta dei ruoli sociali. La difficoltà di adattarsi a modelli più flessibili rende arduo immaginare nuovi modi di vivere sia in ambito familiare che professionale.
L’adozione di un atteggiamento meno refrattario alla messa in discussione dello status quo potrebbe stimolare l’innovazione e la creatività, alleviando le insicurezze che oggi ostacolano la nascita di nuove famiglie. Un approccio del genere consentirebbe al Giappone di affrontare le sfide globali con maggiore prontezza, favorendo il rinnovamento sociale ed economico senza restare vincolato da tradizioni che frenano il progresso, ancora claudicante.
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