Supernova, regia e drammaturgia di Mario De Masi, va in scena al Piccolo Bellini dal 17 al 22 dicembre. Gli attori Alessandro Gioia, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto, Lia Gusein-Zadé/Maria Chiara Vitti recitano sul palco in perfetta sintonia tra loro dando vita a uno spettacolo corale, ritmato, tragico e comico al contempo.
Supernova è un’esplosione stellare e i suoi figli si disperdono nell’universo, qualcuno resta legato alle proprie origini, qualcun altro recide il cordone ombelicale e prova a dimenticare. Ci riuscirà?
Nel buio totale della scena si sente un vento soffiare, un soffio lieve poi pian piano più forte. Una luce fioca illumina i i volti di tre giovani ragazzi e poi dalle quinte esce fuori volteggiando la figura esile di una donna con un vestito a fiori, la sua comparsa è preceduta dal tintinnio delle chiavi di casa.
Supernova è una messinscena che si compone di piccoli e minuziosi dettagli, in primo luogo i rumori che anticipano le scene, poi gli oggetti tirati fuori dalla borsa della madre, anch’essi segni pregni di significato, portatori dei caratteri dei tre fratelli che stanno per presentarsi al pubblico.
Un libro, un barattolo di DAS, un pacchetto di figurine. Massimo è il fratello che studia, il suo nome è esplicativo delle sue doti intellettuali, della sua autostima che lo porta a sentirsi sempre un gradino sopra gli altri due. Italo ha preso il nome del nonno e lui è il lavoratore della famiglia, quello che porta i soldi a casa. L’ultimo, ma non meno importante è Cristoforo, dei tre il più ingenuo, innocente e puro, il «portatore di Cristo». Anche il suo nome è tutt’altro che casuale, sarà lui, infine, a portare su di sé il peso di una croce..
Vestito con la tutina, il figlio minore è il più mammone, ma anche colui che rimane fuori dalle scaramucce e dai dispetti tra Italo e Massimo. Prende la madre in braccio e la porta in alto come un vessillo, mentre gli altri due fratelli la sballottolano avanti e indietro come una bambola, al punto che non ci è ben chiaro se la stiano supportando o strapazzando, che è un po’ l’atteggiamento ambiguo che ogni figlio assume con la propria madre.
Supernova è la madre, un’esplosione primordiale come quella della creazione. Madre è colei che genera, dal parto ha origine una nuova vita.
Ma la madre è anche metafora del potere? Da un certo punto di vista è sicuramente il motore dell’azione, è il nucleo, la genesi, il suo seno è la prima fonte di nutrimento a cui il bambino attinge, il primissimo desiderio soddisfatto deriva dal corpo della madre.. che, però, rappresenti il potere inteso come trasfigurazione alienante della sete di autoaffermazione, dipende da come i propri figli la vivono o da come lei si lascia vivere.
Il desiderio crea dipendenza? Non c’è alcun modo per sbrogliare il cordone ombelicale e cominciare a considerarsi esseri a sé stanti?
Supernova è uno spettacolo messo in scena con una struttura impeccabile, instancabilmente coreografico al punto che non si riesce a staccare gli occhi dall’attrice-danzatrice, le cui movenze, ora sontuose e leggere ora meccaniche e robotiche, restituiscono un senso di vita e di morte, di attività e passività. È, però, anche uno spettacolo che fa riflettere e discutere su tematiche fondanti e intramontabili.
Da un punto di vista strettamente femminile fa male vedere in scena una donna i cui passi trasmettono angoscia, la cui figura è trascinata a terra e poi sollevata al cielo fino a diventare una stella che esplode. È doloroso trovarsi spiattellato davanti agli occhi il pericolo della fine, ed è triste pensare che questa fine trova la sua origine in un corpo di donna.
Supernova racconta la storia di una famiglia di panettieri, la famiglia Tosti. Dalle conversazioni a metà tra l’ironico e il malinconico che i tre fratelli portano avanti sul palcoscenico si percepisce una sensazione di irrimediabilità, un’impossibilità di riscatto.
Supernova è uno spettacolo spietato, non lascia spazio ad illusioni effimere, non si aggrappa ad utopie fatiscenti. I tre protagonisti proiettano sulla madre le aspettative sociali, la crudeltà e l’ingiustizia dei meccanismi di potere e la madre, centro di gravità permanente delle loro vite, non può far altro che crollare sotto tutto questo peso.
Non si può uscire fuori da questo incubo di predestinazione? Non si può depistare il percorso tracciato sul quale i genitori ci hanno indirizzato?
In Supernova i tre fratelli si affaticano per vedere affermati i propri ruoli nella società. Massimo non ha tempo per uscire con il piccolo Cristoforo perché deve studiare, essere il migliore. Italo deve lavorare, fare il possibile per sentirsi utile.
A che vale, però, affannarsi così tanto per raggiungere degli obiettivi se alla fine tutto è destinato a svanire e neppure la casa è un luogo in cui ci si può sentire accolti?
«C’è puzza di chiuso» è la battuta che più delle altre trasmette questo senso di claustrofobia che dà la famiglia, intesa come piccolo nucleo opprimente, specchio di altre più grandi espressioni surrogate del sistema come la scuola (soprattutto quella attuale), il lavoro, la casa.. e continueranno a sbucarne ancora di nuove.
Supernova mette al centro la famiglia con i suoi ruoli prestabiliti.
La madre deve educare i figli, dargli una direzione, nutrirli, rispondere a tutti i loro bisogni, soddisfare sessualmente il padre, ma non perdere il suo candore di fronte agli occhi dei suoi pargoli.
Il padre da buon macho deve istruire i figli su come si fa l’amore, iniziarli all’attività erotica, farli sentire dei veri uomini, insegnargli i ferri del mestieri, lasciargli in eredità la sua bottega.
Grottescamente il papà dei tre muore d’infarto nel bel mezzo di uno squallido amplesso con una prostituta in un romantico gabinetto chimico.
Supernova è uno spettacolo malinconico e vero. Si sente tutta la paura di fronte alla presa di coscienza che il vuoto esiste e non c’è alcun modo di riempirlo questo abisso, almeno non affidandosi alla materialità del DAS, alle parole scritte nero su bianco su un libro scolastico, né lo si può ignorare rifiutandosi di crescere e continuando a giocare tutta la vita con le figurine.
«Questa casa puzza di chiuso» come un vecchio teatro, ma la casa non mente su chi vi abita, sulle abitudini di chi quotidianamente la attraversa. Pure il palcoscenico non dice menzogne, è cinico e diretto. A teatro una scena non si può ripete una seconda volta come invece accade sul set cinematografico.
Italo, Massimo e Cristoforo sono allegri e disperati, bambini nel corpo di adulti, giovani intimamente anti-sistemici e per questo emarginati. Solo guardando le stelle possono trovare sollievo. Solo oltre questo mondo forse potranno essere liberamente ciò che vogliono.
Per cominciare a sognare tutto deve esplodere, saltare in aria. Le tre piccole stelle devono librarsi nel cielo, il nucleo della Supernova collassare su se stesso e creare un buco nero. Tutto deve ricominciare ad essere pura materia.
Andate a vedere Supernova perché è uno spettacolo che suscita riflessioni trasversali, complesso e contraddittorio, come ogni opera viva e in movimento.
Fonte foto di copertina: ufficio stampa