La “rivoluzione neolitica” e la domesticazione delle piante
L’agricoltura è il risultato di fondamentali salti evolutivi: infatti, le specie coltivate nell’aspetto e nelle caratteristiche attuali sono il prodotto di un processo di selezione, semina intenzionale e domesticazione di piante spontanee iniziato, in modo relativamente sincrono, verso la fine dell’ultima glaciazione – tra 12.000 e 3.000 anni fa – in tre centri d’origine – centro medio-orientale, centro asiatico e centro americano – molto distanti e non in contatto fra loro. Tale decisivo processo, che è stato denominato “rivoluzione neolitica”, ha costituito la più importante transizione culturale, sociale e tecnologica nella storia dell’uomo, dall’economia di sussistenza all’introduzione dell’agricoltura, avendo determinato la sedentarietà, l’esplosione demografica, la formazione di classi sociali, lo sviluppo di strumenti e macchine. Successivamente, con la scoperta del “Nuovo Mondo”, furono introdotte e diffuse in coltura nuove specie in Europa intorno al XVI-XVIII secolo. Tuttavia, come scrive il noto chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini sul blog Le Scienze, «Gli alimenti hanno una storia spesso sconosciuta ai più. La nostra cucina è basata su alimenti che per arrivare nel nostro Paese hanno viaggiato attraverso i continenti, modificandosi nel tragitto. (…) Gli alimenti non solo hanno viaggiato ma, muovendosi nel tempo e nello spazio, hanno modificato i loro geni, spontaneamente o artificialmente. Sapete che (…) l’arancio dolce non esiste allo stato selvatico ed è il risultato di un incrocio tra un mandarino cinese e il pomelo?». Vediamo ora come si è arrivati alla domesticazione delle piante.
L’aspetto originario di alcune varietà ortofrutticole prima della domesticazione
«Diamo spesso per scontato che i prodotti agricoli che acquistiamo e mangiamo abitualmente siano rimasti immutati nel corso dei millenni. In realtà non è così: il lento processo di domesticazione di vegetali e animali ha modificato profondamente le proprietà e l’apparenza stessa di molti prodotti» (Contro Natura, Bressanini-Mautino, Rizzoli, 2015): la domesticazione, infatti, ha operato una selezione preferenziale di alcuni esemplari comparsi in seguito a mutazioni genetiche casuali, con caratteristiche vantaggiose e sfruttabili a scopi alimentari. Ecco perché, «sempre più spaventati e confusi dai messaggi allarmistici dei media, ci siamo convinti che la “manipolazione” del cibo sia uno dei tanti mali della società odierna, dimenticando che l’intervento umano sulle specie vegetali è antico quanto l’invenzione dell’agricoltura stessa». (Contro Natura). Conseguentemente, si sono del tutto opacizzate per l’odierno consumatore le caratteristiche originarie di molte varietà ortofrutticole.
Domesticazione delle piante, le più comuni:
- Il mais deriva dal teosinte, pianta selvatica messicana, che in origine ospitava una singola pannocchia lunga 2-3 centimetri, composta di 20-30 semi, non gialli e molto duri.
- I pomodori selvatici erano piccolissimi, una sorta di bacche, e soprattutto erano gialli.
- Le melanzane, introdotte in Europa dai mercanti arabi, domesticate in India, erano molto piccole e amare.
- Le carote, domesticate circa 8000 anni fa in Afghanistan e giunte in Europa nel X sec. d.C., erano viola o gialle – mentre le carote bianche selvatiche, già note ai Romani, non sono mai state domesticate poiché, essendo amarissime, erano impiegate solo per scopi medicinali – ed erano utilizzate soprattutto per estrarre il colorante rosso; studiando le scene di mercato dipinte dai pittori fiamminghi e spagnoli, si nota che solo agli inizi del Seicento le carote dipinte nei vari quadri, che dapprima erano viola o gialle, cominciarono a essere raffigurate di colore arancione: dunque si è supposto che una mutazione genetica spontanea avesse attivato un gene, innescante a sua volta una via metabolica per produrre il betacarotene; inoltre, secondo una leggenda, uno dei motivi del successo delle carote arancioni, con la conseguente perdita della memoria storica dell’originario colore viola, fu la volontà di “omaggiare” con questo nuovo colore la dinastia degli Orange.
- Il melo centro asiatico, domesticato nel Kazakistan, si è co-evoluto con l’orso, che ama il sapore dolce e predilige frutti di grosse dimensioni, producendo nel tempo la selezione di varietà con frutti sempre più grandi e dolci.
- Le attuali pesche contengono oltre il 25% in più di succo e sono molto più grandi delle loro antenate selvatiche, che erano invece piccole come ciliegie, poco polpose, dal sapore terroso e sapido.
- Fino al XVII secolo, come attesta il dipinto “Ghirlanda di fiori e farfalle” del pittore romano Giovanni Stanchi Dei Fiori, esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze, l’anguria era suddivisa in sei sezioni cave ed era costituita da molto meno polpa commestibile, di un rosso meno intenso, distribuita in bizzarre spirali e da semi più grandi rispetto alle varietà moderne.
- Infine, la domesticazione della banana, avvenuta 7000 anni fa da parte degli indigeni della giungla cinese, si è prodotta a partire da una mutazione genetica che ha reso una pianta triploide, ovvero “sterile” perché priva di semi, poi selezionata e a tal punto propagata tramite talea da determinare una scarsa varietà genetica, lasciando in esistenza solo una piccola quantità di cultivar, come la famosa Cavendish.
«Ma è solo dagli inizi del secolo scorso che si può parlare di miglioramento genetico consapevole» (Contro Natura): infatti, ancora oggi tale fase conclusiva della domesticazione impegna agricoltori, ricercatori e imprese nell’ottenimento di varietà coltivate, rispondenti ai più svariati obiettivi e necessità della società e dei mercati.
[La foto di copertina per l’articolo “Domesticazione delle piante” è tratta da https://commons.wikimedia.org]