La psicologa di Eroica(mentis) parla oggi dei disturbi del comportamento alimentare (DCA).
I disturbi del comportamento alimentare sono un gruppo di patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari e da un’eccessiva preoccupazione per il peso e per le forme del corpo. Quello dei disturbi alimentari (DCA) è un argomento complesso in quanto sono implicati una serie di fattori fisiologici, psicologici, sociali e comportamentali che non possono non essere indagati e approfonditi in un contesto clinico e di ricerca. Tali disturbi rappresentano oggi tra i giovani, un’elevata percentuale di mortalità, sempre più spesso legati alla società capitalista, ai modelli per cui il corpo diventa il mezzo per essere riconosciuti e apprezzati.
Siamo nel pieno di una “rivoluzione della comunicazione” che ha prodotto un aumento della velocità, del ritmo, del flusso, della densità e della connettività della vita sociale ed economica degli individui. In meno di vent’anni, infatti, software, computer, media digitalizzati, internet, la telecomunicazione mobile e il wireless hanno permesso una connessione tra gli esseri umani alla velocità della luce: attraverso il web, è possibile connettersi istantaneamente con più di un miliardo di persone, e di comunicare direttamente e contemporaneamente con ciascuna di esse, permettendo in questo modo, la veicolazione di una quantità di informazioni quasi impossibile da contenere e comprendere.
«Abbiamo sempre meno familiarità con noi stessi e la grammatica visiva del nostro tempo ci spinge a vedere il corpo e la nostra immagine come un oggetto che non ci piace mai abbastanza, che si può e si deve perfezionare.» (Dalla Ragione & Mencarelli, 2012).
Sicuramente possiamo individuare dei fattori cosiddetti predisponenti ai DCA (genetici, psicologici) che aumentano la vulnerabilità/probabilità che una persona possa sviluppare un disturbo di alimentazione. A questi possono associarci fattori definiti precipitanti costituiti da eventi rilevanti per la vita del soggetto come ad esempio un lutto, un’aggressione, una separazione, ma anche da avvenimenti apparentemente non gravi quali possono essere un brutto voto preso a scuola, essere presi in giro per il proprio aspetto, infine possiamo trovare i fattori di mantenimento ossia tutti quei fattori che possono impedire il ritorno graduale alla “normalità”.
I disturbi alimentari insorgono prevalentemente durante l’adolescenza e colpiscono soprattutto il sesso femminile rispetto a quello maschile. Secondo gli ultimi dati in Italia sono circa 3 milioni di cui il 95,9% sono donne e 4,1% sono uomini. Nel caso dell’anoressia nervosa l’incidenza è di almeno 8 nuovi casi per 100 mila persone in un anno tra le donne, mentre per gli uomini è compresa tra 0,02 e 1,4 nuovi casi. Per quanto riguarda la bulimia si registrano ogni anno 12 nuovi casi per 100 mila persone tra le donne e circa 0,8 nuovi casi tra gli uomini. Si tratta di numeri davvero preoccupanti, che fanno dell’anoressia la terza più comune “malattia cronica” fra i giovani. Una criticità dalle conseguenze molto pesanti, se si considera che i pazienti con anoressia fra i 15 ed i 24 anni presentano un rischio di mortalità 10 volte superiore a quello dei coetanei. Il numero di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira intorno al 6%, al 2% per bulimia nervosa e sempre intorno al 2% per gli altri disturbi alimentari non specificati.
La caratteristica che accomuna le persone che soffrono di un DCA è l’alterazione della propria immagine corporea. La percezione che la persona ha del proprio aspetto, ovvero il modo in cui nella sua mente si è formata l’idea del suo corpo e delle sue forme, sembra influenzare la sua vita più della propria immagine reale.
Ad esempio, chi soffre di Anoressia si vede allo specchio sempre troppo grassa, i fianchi troppo larghi, le gambe troppo grasse, la pancia troppo “grande”.
«Nei disturbi alimentari si radicalizza il passaggio del cibo da valore d’uso a valore di consumo, per cui l’alimento diventa strumento, il gusto perduto e la sensorialità alterata.» (Senatore,2013).
Per le persone che soffrono di bulimia l’angoscia rispetto al proprio peso è ancora maggiore perché il peso normale viene considerato come esagerato e pertanto viene vissuto con molto disagio e vergogna.
Spesso questi disturbi sono associati ad altre patologie come depressione, disturbi d’ansia, abuso di alcol, il DOC e i disturbi di personalità. I DCA si presentano anche legati ad un trauma. Dati sperimentali hanno dimostrato che quasi più della metà delle donne che soffrono di disturbi alimentari ha riportato esperienze di abuso sessuale, nell’80% dei casi avvenute durante l’infanzia. Nonostante un certo numero di caratteristiche comportamentali e psicologiche possono accomunare questi disturbi, essi differiscono tra loro per decorso clinico, esito e necessità di trattamento.
È rilevante notare che quando un fenomeno assume dimensioni epidemiche vuol dire che chi ne soffre in forma acuta si fa portatore inconsapevole di una crisi culturale diffusa. Pertanto, la diffusione di disturbi e problematiche inerenti l’alimentazione richiede una riflessione che non può essere condotta esclusivamente in ambito clinico-sanitario, perché ciò riguarda il versante intrapsichico ma certamente anche quello interpersonale e sociale all’interno del quale contano l’immagine di sé e quella degli altri, che comprende modelli di identificazione spesso idealizzati e contemporaneamente richieste ambivalenti di assumere compiti e funzioni familiari e sociali.
I disturbi dell’alimentazione sono patologie complesse che richiedano una gestione effettuata da un’equipe multidisciplinare che sia in grado di effettuare una valutazione diagnostica multidimensionale (psichiatrica, psicologica, internistica e nutrizionale) e che possa proporre modelli di trattamento in grado di affrontare la psicopatologia specifica del disturbo e l’eventuale co-morbilità psichiatrica, internistica e nutrizionale associata. Fondamentale è l’intervento psicoterapeutico per il sostegno e cambiamento della persona volto a riconoscere a se stessa il disagio che comporta il sentire che la situazione crea una notevole quota di sofferenza. L’obiettivo sarà quello di stimolare nella persona la sua capacità a mettersi in gioco per sviluppare una maggior senso di autoefficacia nel credere nella possibilità di cambiare.
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