Taralli sugna e pepe, curiosità e storia
Ormai i napoletani lo sanno: ad ogni angolo di strada aprono sempre più spesso friggitorie e negozi che vendono kebab, patatine fritte e dolci americani. Ma per quanto i gusti cambino, un classico dello street food napoletano resta lui e non c’è novità che tenga. Il tarallo sugna e pepe, accompagnato da una birra, costituisce lo “snack” preferito di tutti.
Il tarallo, prodotto nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Calabria, è stato inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF). Questo prodotto da forno porta un nome dall’origine ancora sconosciuta: alcuni sostengono che la parola tarallo derivi dal verbo latino torrere (“abbrustolire”) o dal francese toral (“essiccatoio”), che rimanderebbero alla tostatura che lo rende croccante. Pensando alla sua forma rotonda, altri ne riconducono l’origine all’italico tar (“avvolgere”) o al francese antico danal, (ovvero pain rond, “pane rotondo”); anche se molti ritengono che il nome derivi dal greco daratos che indicherebbe “sorta di pane”.
Taralli sugna e pepe: il cibo dei poveri
Questo prodotto da forno, soprattutto nella città di Napoli, pare abbia avuto una diffusione molto antica che va ricondotta al XVIII secolo, quando il popolo partenopeo che abitava nelle zone più povere dei ‘fondaci’, presso il porto, affamato e indigente, ne consumava in gran quantità. Matilde Serao, ne Il Ventre di Napoli, descrive proprio le botteghe dei panettieri del porto, dove i fornai utilizzavano anche lo sfriddo, ovvero gli stralci di pasta lievitata avanzati, cui davano la forma rotonda del tarallo classico. A questi aggiungevano la ‘nzogna (sugna, “il grasso dei poveri”), che riduceva la fame e conferiva friabilità al prodotto, e il pepe, che aumentava la sete.
Secondo la tradizione, si inzuppavano nell’acqua di mare o addirittura quest’ultima la si aggiungeva nella preparazione dei taralli, e in una canzone del 1920 di Ernesto Murolo e Ernesto Tagliaferri, Napule ca se ne va una strofa celebra questa abitudine: ‘E ffigliole, pe sottaviento,/ mo se fanno na zuppetella/ cu ‘e taralle ‘int’a ll’acqua ‘e mare./ L’acqua smòppeta, fragne e pare/ ca ‘e mmanelle so’ tutte argiento (Le ragazze, sottovento,/ ora si fanno una zuppetta/ con i taralli nell’acqua di mare./ L’acqua smossa, si infrange e sembra/ che le manine siano tutte d’argento).
Le mandorle, altro ingrediente base del famoso tarallo, pare siano state aggiunte solo nell’Ottocento, quando cominciarono a divenire famosi anche i chioschi sul lungomare di Mergellina, fra i quali si fermavano anche gli aristocratici che apprezzarono dall’inizio questa delizia “popolare”. Ogni “tarallaro“, venditore di taralli, portava i suoi taralli caldi in un cestino di vimini sulle spalle (‘a sporta, oggi protagonista delle espressioni “me pare ‘a sporta do’ tarallaro!”, per indicare una persona che non ha voce in capitolo in molte situazioni), e, gridando “taralle, taralle cavere!”, vendeva il suo tesoro, mantenuto caldo da una coperta, ai passanti che gli andavano incontro. Fino ai primi anni ’80 girava per Napoli l’ultimo tarallaro, Fortunato, la cui voce echeggiava per le strade: “Furtunat’ tene a rrobba bella, nzogna nzogn!” e che è diventato così noto che Pino Daniele gli dedicò una canzone intitolata con il suo nome, contenuta nell’album Terra Mia del 1977.
Taralli sugna e pepe, la ricetta
Oggi questi taralli sugna e pepe si consumano con una birretta in riva al mare, e vi proponiamo la ricetta per prepararli a casa, così da poterli offrire, e concludere (o iniziare) la serata a “tarallucci e vino”.
Ingredienti:
500 gr. farina
150 gr sugna
30 gr. lievito di birra
200 gr. mandorle con buccia
2 cucchiaini di pepe e 2 di sale
Preparazione: Sciogliete il lievito in un poco di acqua tiepida e impastatelo con 100 g di farina. Mettete a lievitare il panetto in una ciotola coperto da un panno per almeno un’ora. Quando avrà raddoppiato il suo volume impastatelo per circa 10 minuti con la restante farina, la sugna, il sale, il pepe e l’acqua tiepida necessaria formando treccine con un impasto di circa 20 cm. Unendole a forma di cerchio, decorate i taralli con le mandorle e metteteli a lievitare fino a raddoppiare il volume. Infornali a 180° fino alla loro doratura (circa 50-60 minuti).
Eleonora Vitale