La storia del cinema inizia ufficialmente proprio in Francia il 28 dicembre 1895, quando i fratelli Lumière proiettano il loro cortometraggio muto ‘’La Sortie de l’usine ‘’ (uscita dalla fabbrica) al Grand Café di Boulevard Des Capucines a Parigi. All’alba della Settima Arte, un altro anticonformista francese, Georges Méliès utilizzò effetti speciali prodromici e ingegnosi per creare i primi fantastici mondi paralleli su celluloide. Da allora, il cinema francese ha occupato un posto di prestigio nel panorama artistico internazionale, influenzando il lavoro di altri paesi e offrendo al pubblico alcune delle più grandi opere della storia del cinema. In questo articolo, Eroica consiglia 5 film francesi da non perdere assolutamente!
I 5 film francesi da non perdere
- L’odio – Mathieu Kassovitz (1995) ‘’Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. A mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: «Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio’’ Come primo in classifica tra i 5 film francesi da non perdere, impossibile non menzionare L’odio, di Mathieu Kassovitz. Alla periferia di Parigi, soffia il vento della rivolta dopo che il sedicenne Abel viene picchiato dalla polizia. I giovani della Banlieu scendono in strada e combattono tutta la notte con la polizia. L’ebreo Vinz (Vincent Cassel), il magrebino Said (Said Taghmaoui) e Hubert (Hubert Koundé) sono un trio di perdenti: disoccupati, arrabbiati e senza futuro. La volgare giornata dei tre giovani disperati inizia quando Vinz trova una pistola persa da un poliziotto durante uno scontro e decide di usarla. Venticinquenne di talento, diretto da Mathieu Kassovitz, in uno splendido bianco e nero e raccontato in un dialetto non facilmente traducibile. Il film rende omaggio al meglio del cinema di genere francese e americano grazie a Vincent Cassel che esplode con una maestosità e un’intensità drammatica che si addicono al suo talento. Kassovitz osserva la banlieue con una distanza adeguata, degna di vincere il premio per la miglior regia a Cannes, e con il coraggio di chi non ha paura di sporcarsi le mani, senza spingere all’identificazione con il protagonista e, come la pelle nazista che interpreta, il proprio volto, il pericolo di un freddo distacco di superiorità. Nel contesto sotterraneo della guerriglia metropolitana, Vinz, Said e Hubert agiscono come soldati armati di odio verso se stessi e verso gli altri, in bilico tra il desiderio di rispetto e la rassegnazione all’immutabilità della loro condizione, scandita da un orologio iperdimensionale, svuotato dall’insignificanza dei loro discorsi e dalla vacuità dei loro sguardi.
- Léon – Luc Besson (1994) New York anni ’90. Stanfield (Gary Oldman) è un poliziotto spietato e perverso e fa sterminare una famiglia mafiosa per puro interesse personale. Mathilda (Natalie Portman), una ragazzina di 12 anni scampata al massacro, affronta il futuro con tutta la sua innocenza e caparbietà. Il suo incontro con Léon (Jean Reno) è fatale: un assassino taciturno e semisconosciuto, diventa il protettore della ragazza e i due vivono in un’ambigua complicità in cui tutto, compreso il sesso, è promesso. In una società corrotta, spietata e violenta, il personaggio di Léon, che si muove abilmente tra il grottesco e l’allegorico, diventa alla fine l’unica nota positiva, spinto dall’amore puro di una ragazza che vuole imitare un assassino e si trova davvero a disagio. Léon è una delle pietre miliari della storia del cinema, che sfida le convenzioni classiche di un genere. È un misto di shock e stupore che, una volta visto, è indimenticabile. Il successo del film è in gran parte attribuito alla capacità di Besson di unire generi apparentemente discordanti e spesso criticati. In effetti, è diventato uno dei film francesi più amati della storia del cinema per il suo insolito equilibrio tra la violenza del cinema d’azione e la dolcezza del dramma caratteristico del cinema francese.
- Il favoloso mondo di Amélie – Jean-Pierre Jeunet (2001) Amélie Poulain (Audrey Tautou) è una bella ragazza che si è trasferita dal paese di provincia in cui vive con il padre medico per lavorare come cameriera in un bistrot di Montmartre a Parigi. La scoperta di un tesoro dimenticato porta la cameriera parigina a mettere in discussione la propria vita e a cambiare la storia di coloro che la circondano. Il favoloso mondo di Amélie riesce nel suo straordinario intento di trasformare il complesso e misterioso percorso emotivo della protagonista in un’immagine vivida, evidenziando come la vita di ogni individuo sia determinata da tanti piccoli e apparentemente insignificanti frammenti, e come un singolo evento, positivo o negativo, possa innescare una reazione a catena inaspettata. Alla base di tutto questo (ad eccezione di Amélie) c’è l’importanza fondamentale dell’empatia, l’unica dote che caratterizza profondamente l’essere umano ed è quella che permette di creare un microcosmo di gioia intorno a sé proiettando la felicità del proprio destino, che si ritorce contro al momento giusto.
- Il pianista – Roman Polanski (2002) Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2002, diretto da Roman Polanski il è basato sull’omonimo romanzo autobiografico di Wladyslaw Spielmann (compositore). Il film proietta a noi spettatori le esperienze di un pianista ebreo dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e dall’invasione tedesca della Polonia, attraverso l’occupazione di Varsavia, la creazione, la vita, la fuga e la sopravvivenza nel ghetto e la liberazione da parte dell’Armata Rossa. Wladyslaw (Adrien Brody) sta suonando Chopin in una registrazione radiofonica ma viene interrotto dalla notizia dell’invasione nazista della Polonia. Il giovane è testimone di una spirale terribile: tutta la sua famiglia viene deportata. Nonostante sia uno delle più strazianti storie realizzati da Polanski, è considerato uno dei più importanti film francesi, in quanto la capacità del regista nella rappresentazione della pellicola riflette perfettamente gli accaduti dell’Olocausto.
- Fino all’ultimo respiro – Jean Luc Godard (1960) ‘’Se non amate il mare, se non amate la montagna, se non amate la città… andate a quel paese!’’ Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle) del 1960 scritto e diretto da Jean-Luc Godard, è considerato uno dei film francesi manifesto della Nouvelle Vague. Michel Poiccard (Jean Paul Belmondo) è un piccolo truffatore di Marsiglia, prepotente e nervoso. Ruba un’auto sportiva, parla con una telecamera, fa un sorpasso vietato e viene catturato dalla polizia. Lì estrae una pistola, uccide uno dei due poliziotti e fugge verso Parigi. Sugli Champs-Elysées incontra Patricia (Jean Seberg), studentessa americana e aspirante giornalista che si guadagna da vivere vendendo “Herald Tribune” per strada. La loro relazione è indecisa, con continue schermaglie, discussioni e storie d’amore colorite. L’esordio nel lungometraggio di Jean-Luc Godard, ex critico dei ‘’Cahiers du Cinéma’’, è allo stesso tempo un saggio dell’estetica della nascente Nouvelle Vague, un gesto d’amore dei cinefili per il cinema classico e un’opera fondamentale del rinnovamento linguistico del cinema degli anni Sessanta. Dal montaggio (la cui continuità logica è spezzata da violazioni allora vistose, come raccordi fuori asse e omissioni cronologiche nella stessa scena) alla correttezza dell’inquadratura (frequenti scrutamenti della macchina da presa, scene in cui l’oratore o il suo opposto è decentrato rispetto all’asse visivo), il film compie una serie di esperimenti cinematografici, generando una sorta di effetto di straniamento continuo attraverso una serie di scelte stilistiche che il regista compie per restituire casualità e tempi morti in una funzione espressiva che, a parte l’opera contemporanea dell’italiano Michelangelo Antonioni, lascia pochi spunti di confronto.
Questi erano i 5 film francesi da non perdere, leggi anche:
Fonte immagine in evidenza: dal film ” l’odio” Wikipedia