Con l’espressione affare Dreyfus, in francese affaire Dreyfus, si fa riferimento a un conflitto politico e sociale avvenuto nella Terza Repubblica francese. Oltre all’aspetto più politico della vicenda, tale espressione è legata a uno degli episodi più clamorosi di antisemitismo nell’Europa di fine Ottocento. In quest’articolo approfondiremo l’affare Dreyfus in relazione al contesto storico, politico e sociale in cui esso è avvenuto.
Il contesto storico, sociale e politico
Dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana, combattuta tra luglio 1870 e maggio 1871, la Francia passa dall’Impero di Napoleone III alla Terza Repubblica, e si ritrova a fare i conti con il conflitto interno tra monarchici e repubblicani e con il rischio di una restaurazione della monarchia nel Paese, che era stata abolita una prima volta con la Rivoluzione francese del 1789. Tale rischio, però, non si concretizza, anche grazie alla fase di prosperità e crescita che determina la diffusione di un sentimento generale di fiducia nella Repubblica.
Nella Francia di questo periodo, così come in tutta Europa, vi è un diffuso sentimento di antisemitismo che, in realtà, non è nuovo nei paesi europei: l’ostilità nei confronti degli ebrei nel continente si è fatta strada già a partire dal Medioevo, alimentata dai miti del cristianesimo che li accusano di essere discendenti di una popolazione deicida, ossia responsabile dell’uccisione di Cristo. Nell’Ottocento, tale diffidenza è legata a un discorso nazionalista che si fonda e riceve impulso dal nuovo razzismo scientifico, ossia dall’ostilità contro gli ebrei non in quanto membri di un gruppo religioso, ma in quanto appartenenti a una presunta razza particolare e diversa. È la nascita dell’antisemitismo: si ritiene che gli ebrei appartengano a una razza degenerata e, per questo motivo, inferiore rispetto alla pura razza bianca ariana. Le idee che iniziano a diffondersi in questo periodo preannunciano ciò che accadrà poi intorno alla metà del Novecento: l’Olocausto, una delle pagine più tristi nella storia dell’umanità.
L’affare Dreyfus: chi è Alfred Dreyfus e cosa è accaduto
È il 22 dicembre 1894: il Consiglio di Guerra francese condanna Alfred Dreyfus, un capitano d’artiglieria ebreo presso lo stato maggiore, alla deportazione e ai lavori forzati sull’Isola del Diavolo, una colonia penale nella Guyana francese. L’accusa è quella di alto tradimento e di spionaggio per aver trasmesso ai responsabili dell’esercito tedesco dei documenti riservati. Alfred Dreyfus è un ricco ebreo originario di Mulhouse, in Alsazia, territorio che la Francia ha perso con la sconfitta subita nel conflitto con la Prussia di Otto von Bismarck. All’indomani della guerra franco-prussiana, Dreyfus decide di optare per la nazionalità francese e sogna una “Revanche”, ossia una rivincita della Francia sui tedeschi con la riacquisizione della sua terra d’origine. Perché allora, nonostante questo suo patriottismo francese, Dreyfus viene accusato di tradimento? La sua condanna è legata al ritrovamento di un foglio destinato all’addetto militare dell’Ambasciata tedesca a Parigi, in cui sono riportate delle informazioni militari riservate. La grafia sul foglio sembra simile a quella di Dreyfus, che viene arrestato e sottoposto a un processo frettoloso e ingiusto. È qui che inizia l’affare Dreyfus. Allo Stato maggiore dell’esercito francese serve un capro espiatorio per coprire uno scandolo di tale portata: Alfred Dreyfus è l’uomo perfetto, perché è ebreo, e il nazionalismo che si sta diffondendo in Francia si fonda anche sul pregiudizio antisemita; dunque, l’opinione pubblica non mostra alcun interesse nel difenderlo dall’ingiustizia subita e nel credere nella sua innocenza. Almeno all’inizio.
J’accuse di Émile Zola
In un primo momento, dunque, Alfred Dreyfus è abbandonato a sé stesso e costretto a subire l’ingiustizia senza potersi opporre. Gli unici che sostengono con forza e convinzione la sua innocenza sono la moglie e il fratello, finché il maggiore Georges Picquart (capo dell’Ufficio Informazioni dello Stato maggiore) non s’insospettisce e presenta al suo superiore un documento in cui dimostra l’innocenza di Dreyfus, accusando invece come reo di tradimento il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy. Ritenuto troppo scomodo in patria, però, Picquart viene spedito in zona di guerra in Tunisia ed è costretto ad abbandonare il caso. Tuttavia, intanto, tra l’opinione pubblica iniziano ad alzarsi sempre più voci a difesa del condannato, alimentando così l’affare Dreyfus. Tra queste voci, una delle più autorevoli e decisive è quella di Émile Zola. Il 25 novembre 1897 lo scrittore francese fa pubblicare sul quotidiano Le Figaro un articolo in cui scrive: «Per l’autorità che la mia opera ha potuto darmi, giuro che Dreyfus è innocente… Sono uno scrittore libero, che ha un solo amore al mondo, quello per la verità». Ma è con la lettera apparsa sulla rivista L’Aurore il 13 gennaio 1898, indirizzata da Zola al Presidente della Repubblica francese, che l’affare Dreyfus ottiene un rilievo ancora maggiore. In questa lettera, passata alla storia con il titolo J’accuse, Zola chiede la riapertura del processo, accusando i responsabili dell’esercito di cieca prepotenza. Per tale accusa, Zola viene incriminato di vilipendio alle forze armate ed è costretto a fuggire in Inghilterra.
Il nuovo processo per l’affare Dreyfus
L’intervento di Zola trasforma l’affare Dreyfus in un’occasione di radicale scontro politico tra gli innocentisti, o dreyfusardi, e i colpevolisti, o anti-dreyfusardi. La Corte di Cassazione decide quindi di accogliere la richiesta di revisione del processo, annullando la sentenza del 1894. Dreyfus può dunque far ritorno in Francia. Il nuovo processo si svolge a Rennes nell’agosto 1899, in un clima pesantissimo di minacce e pressioni a giudici e avvocati. Nel corso del processo appare chiaro che le accuse nei confronti di Dreyfus sono del tutto infondate, così come è evidente la forte componente di antisemitismo nei suoi confronti. Tuttavia, l’esito del processo non è proprio quello che l’ex capitano di artiglieria e la sua famiglia si aspettano: Dreyfus, infatti, non viene assolto, ma viene condannato a una pena di 10 anni sempre per tradimento. Gli vengono riconosciute delle attenuanti. La sentenza causa un’ondata di indignazione nel paese e anche all’estero. Per calmare le acque, il nuovo Presidente del Consiglio, Pierre Waldeck-Rousseau, propone a Dreyfus di presentare domanda di grazia, cioè di dichiararsi colpevole, nonostante la sua innocenza, al fine ottenere la grazia. Spinto dai suoi familiari e da alcuni dreyfusardi, Dreyfus accetta la proposta.
La riabilitazione di Alfred Dreyfus
L’antisemitismo e la xenofobia che hanno caratterizzato l’affare Dreyfus non si attenuano nemmeno dopo la conclusione del processo e l’ottenimento della grazia. La piena riabilitazione del capitano avviene solo nel 1906, con la cancellazione della condanna e la riammissione nell’esercito. Tuttavia, l’odio nei suoi confronti trova nuova espressione il 4 giugno 1908, durante la solenne cerimonia di traslazione delle ceneri di Zola, morto nel 1902, al Panthéon di Parigi. In quell’occasione, infatti, un giornalista di estrema destra spara due colpi di pistola contro Dreyfus, ferendolo a un braccio, senza gravi conseguenze. Dreyfus morirà poi il 12 luglio 1935 per una crisi cardiaca.
L’affare Dreyfus è una vicenda accaduta alla fine dell’Ottocento, ma del tutto attuale, come ha spiegato Indro Mondanelli un secolo dopo la condanna ingiusta: «Essa non fu soltanto il più appassionante “giallo” di fine secolo. Fu anche l’anticipo di quelle «deviazioni» dei servizi segreti che noi riteniamo – sbagliando – una esclusiva dell’Italia contemporanea. Ma fu soprattutto il prodromo di Auschwitz perché portò alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta l’Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Allora, grazie soprattutto alla libertà di stampa che smascherò l’infame complotto, quei rigurgiti furono soffocati. Ma la vittoria dell’antirazzismo, che lì per lì sembrò definitiva, fu, come sempre quella della Ragione, soltanto momentanea. Le cronache di oggi dimostrano che nemmeno i forni crematori dell’Olocausto sono riusciti a liberarci dal mostro che si annida nel subconscio delle società (con rispetto parlando) cristiane, e che proprio nell’affare Dreyfus diede la misura più eloquente della sua abiezione».
Fonte immagine in evidenza: La degradazione di Alfred Dreyfus da Wikicommons