Akutagawa Ryunosuke è stato uno dei più grandi scrittori della letteratura giapponese. Attivo principalmente durante il periodo Taisho (1912-1926) ha scritto numerosi racconti di diverso stampo, da quelli fantastici del primo periodo a quelli più autobiografici, caratteristici della fase finale della sua produzione. La sua figura è presto divenuta leggendaria e la sua influenza culturale è tutt’oggi significativa nel panorama artistico giapponese, e ha ispirato scrittori e cineasti come nel caso di Kurosawa Akira e del suo Rashomon (1950), uno dei film più importanti del XX secolo. Gli è stato anche dedicato il premio letterario per esordienti più importante del paese, che viene assegnato ancora oggi due volte all’anno. In questo articolo proponiamo una lista di cinque tra i suoi racconti più riusciti, concentrandoci su entrambe le fasi della sua produzione letteraria.
1. Rashomon, l’esordio di Akutagawa Ryunosuke
Pubblicato nel 1915, è uno dei primi lavori di Akutagawa Ryunosuke, per il quale ricevette i complimenti del suo maestro letterario Natsume Soseki, che lo incoraggiò a proseguire la sua carriera letteraria. Il racconto è ispirato ad un setsuwa (racconti di carattere buddhista) contenuto nel Konjaku Monogatarishu, una raccolta del tardo periodo Heian. Ambientato nei pressi dell’omonima porta, situata a sud della vecchia capitale Heian-kyo, narra la storia di un servo, da poco licenziato dal suo padrone, diviso tra la scelta di diventare un ladro per sopravvivere oppure continuare a vivere seguendo i propri principi morali. Akutagawa compie un’operazione che sarà caratteristica della produzione negli anni a seguire, ovvero prende una storia già nota al pubblico e la rielabora, per creare un certo distacco tra autore e racconto. Se nel racconto originale il protagonista è già un ladro sin dall’inizio, nel racconto di Akutagawa vengono indagate le ragioni per le quali egli decide di compiere questo tipo di azione; questo interesse per la psicologia dei personaggi denota il carattere modernista del racconto, corrente della quale Akutagawa Ryunosuke fu uno dei maggiori esponenti in Giappone.
2. La rappresentazione dell’inferno
Risalente al 1918 e pubblicato con il titolo “Jigokuhen” ha come protagonista il pittore Yoshihide, considerato il maggior artista del paese, il quale lavora per il signore di Horikawa. Quest’ultimo gli commissiona un paravento sul quale dipingere una rappresentazione dell’inferno, opera alla quale Yoshihide si sacrifica interamente, arrivando a perdere ciò che gli è più chiaro. Anche in questo racconto Akutagawa Ryunosuke attua un’operazione di distanziamento, ambientandolo nel periodo Heian e affidando la narrazione ad un personaggio interno al racconto, che rimane anonimo. Nell’opera è centrale il tema del rapporto tra vita, arte e rappresentazione artistica; Yoshihde non si fa alcun tipo di scrupolo a mettere in pericolo la vita dei propri assistenti per la realizzazione del paravento, e il racconto raggiunge l’apice nel sacrificio della figlia dell’artista, Yuzuki, davanti agli occhi del padre. Il pittore sperimenta quindi in vita l’inferno che tanto si è penato a rappresentare, arrivando ad una totale simbiosi tra vita e arte.
3. Nel bosco
“Yabu no naka” in originale, risale al 1922 ed è stato adattato, insieme a Rashomon, nel succitato film di Kurosawa, del quale costituisce il soggetto principale. Caratteristica centrale del racconto è la polifonia: la storia del crimine commesso da Tajomaru ai danni di Masago e Takehiro è raccontata in primo luogo dal criminale, poi dalla donna e infine dal fantasma di Takehiro, tramite una medium. Il lettore non ha quindi la certezza di conoscere la verità, in quanto i tre protagonisti raccontano tre versioni diverse dell’accaduto; ciò che Akutagawa Ryunosuke sembra volerci dire è che non esista una singola verità e che il compito dell’arte sia rappresentare la poliedricità dell’esistenza. Anche questo racconto è ambientato nel passato e, nonostante si collochi cronologicamente nel secondo periodo dello scrittore, siamo ancora lontani dalla svolta autobiografica caratteristica dei suoi ultimi lavori.
4. Kappa, la satira di Akutagawa Ryunosuke
Pubblicato nel 1927, è uno dei racconti più celebri di Akutagawa Ryunosuke. Il protagonista del racconto, durante un’escursione, viene rapito da un kappa, una figura del folklore giapponese dal corpo umano ma con caratteristiche tipiche degli anfibi, e vive per un periodo nel mondo di queste creature mitologiche. Una volta tornato nel mondo degli umani non riesce più ad adattarvisi e viene rinchiuso in un manicomio, nel quale racconterà spesso ai medici la sua avventura nella terra dei kappa. L’opera è una satira di swiftiana memoria sulla società del tempo; molti comportamenti degli esseri umani vengono considerati ridicoli dai kappa, e vengono parodiati diversi aspetti della società Taisho/Showa, come ad esempio la religione, il capitalismo, la famiglia e il rapporto tra uomo e donna. Tra i diversi personaggi incontrati dal protagonista spicca Tokku, un poeta pessimista che finirà per suicidarsi, anticipando di pochi mesi il gesto dello stesso Akutagawa. D’importanza rilevante è il tema della pazzia, molto caro allo scrittore; egli infatti trascorse tutta la vita nel timore di diventare pazzo, proprio com’era successo a sua madre. Nel racconto la pazzia del protagonista è presunta, in quanto il lettore non ha la certezza che il protagonista stia inventando tutto; siamo nuovamente di fronte, così come in “Yabu no naka” al problema della verità, della quale, ancora una volta, non abbiamo certezza.
5. La ruota dentata
Scritto nel 1927, anno della morte di Akutagawa Ryunosuke, è l’opera più emblematica della maturità dell’autore. Il racconto (il cui titolo in giapponese è “Haguruma”) non ha una vera e propria trama, e ripercorre alcuni momenti della vita di Akutagawa. Il carattere autobiografico dell’opera la rende ascrivibile allo shishosetsu (romanzo dell’io), genere dal quale Akutagawa si era fortemente discostato all’inizio del suo percorso artistico ma che adotterà in molti racconti degli ultimi anni, entrando per questo motivo in polemica con Tanizaki Jun’ichiro, creando un dibattito passato alla storia con il nome di “Shosetsu no suji ronso” (“Controversia sulla trama del romanzo”). Il racconto confessa il disagio psichico dell’autore, acutizzatosi in particolare dopo un viaggio in Cina nel 1921, e Akutagawa riesce a rendere palpabile il suo dolore grazie alla sua scrittura precisa e capace di creare immagini vivide, così come farà anche in altri racconti dello stesso periodo, quali “Tenkibo” (“Il registro dei morti”) o “Aru Aho no Issho” (“Vita di uno stolto”). La chiusa del racconto (“Non ho più la forza per continuare a scrivere. Vivere così è un tormento indicibile. Non c’è nessuno disposto a soffocarmi nel sonno?”) è la dichiarazione di resa di Akutagawa Ryunosuke nei confronti del mondo, che abbandonerà il 24 Luglio 1927 ingerendo una dose letale di Veronal. L’addio di un grande artista che non è riuscito a sconfiggere il proprio disagio esistenziale, ma che nel corso della sua vita, seppur breve, ha regalato al mondo capolavori immortali.
Fonte immagine in evidenza: Wikipedia