In questo articolo ci interesseremo della importanza della magia e dell’alchimia nel secolo dei Lumi.
Può sembrare strano che anche in un secolo dominato dalla razionalità e dalla scienza trovarono posto la magia e l’alchimia.
Questo però non ci deve sorprendere troppo se ha ragione Popper ad affermare che anche nella scienza moderna è presente con forza la tendenza a spiegare il mondo visibile mediante un presupposto invisibile.
Se teniamo presente ciò non ci dobbiamo sorprendere se un grande scienziato come Newton ha scritto una mole notevole di manoscritti di alchimia.
Tali manoscritti rimasero però ignorati fino al 1940.
Dobbiamo mettere in evidenza che non si tratta di semplici studi giovanili che lo scienziato avrebbe abbandonato per dedicarsi alla ben più razionale chimica.
È vero il contrario.
Avendo iniziato con la chimica Newton si rese sempre più conto dell’importanza dell’alchimia quale forma di sapere in grado di darci un’immagine “in scala” delle attrazioni che governano il macrocosmo.
Possiamo dire che la ricerca alchemica faceva davvero parte di quella che potremmo chiamare l’officina segreta di Newton.
Newton il padre della scienza moderna rovescia se così si può dire il percorso che Comte avrebbe poi indicato al tempo del positivismo della conoscenza occidentale.
Secondo Comte la scienza occidentale seguiva un percorso ben determinato partendo dalla teologia passando per la metafisica sino a giungere alla scienza positiva.
Newton segue un percorso che è l’esatto opposto di quello che comte indica nella famosa legge dei tre stadi.
Infatti Newton parte da una rigorosa analisi dei fatti empirici per avvicinarsi progressivamente poi con sempre maggiore convinzione a forme di spiegazione occulta in grado di eliminare problemi e difficoltà incontrati nel corso della ricerca.
Per dirla in altro modo lo scienziato non può fare a meno di accedere a una dimensione oscura.
Tale dimensione non va quindi considerata in contraddizione con la centralità della matematica e con il suo procedimento rigorosamente logico.
Non abbiamo allora ragione di stupirci se uno scienziato come Newton mostrò di interessarsi non solo alla teologia ebraico-cristiano ma anche alle conoscenze alchemiche e alla magia naturale.
Ormai la stessa fisica e l’astronomia impongono nozioni come quella di universo infinito di entità non osservabili chiamate forze proprio mentre la filosofia corpuscolare si confonde con la matematica.
In breve possiamo dire che nella prospettiva di Newton scienza e alchimia rappresentano due diversi livelli di un medesimo percorso conoscitivo che dalla superficie è costretto a spingersi sempre più in profondità per svelare le arcane verità che fanno del mondo la meravigliosa creazione di Dio.
Proprio in questo senso Newton definiva Dio stesso “il grande alchimista”.
Ma il pensiero di uno studioso per quanto importante non sempre coincide con quello di tutto un secolo.
Pertanto dobbiamo dire che nonostante Newton nel suo complesso il settecento vide un progressivo abbandono degli studi magico-alchemici.
Ma nonostante tutto ciò anche nell’Illumistico settecentesco si aprirono vuoti che lasciarono filtrare elementi riconducibili a concetti magici.
Per fare un esempio nel settecento persistono credenze di tipo gnostico che considerano l’uomo caduto da uno stato divino e spirituale a uno materiale da cui avrebbe il compito di liberarsi per ritrovare le proprie condizioni originarie.
Inoltre si diffonde lo spiritismo come possibilità di incontro con i morti.
Nello spiritismo credeva anche l’emblema del razionalismo settecentesco ovvero Voltaire.
Accanto all’illuminismo razionalista e laico cresce nel corso del secolo la convinzione che non sia impossibile comunicare con le grandi anime dei morti.
Ancora una volta la curiosità che caratterizza la natura umana cerca di spingere avanti il carro della conoscenza talvolta riuscendo a far vivere in una stessa persona la via razionalistica e quella magico-iniziatico.
Proseguendo nella ricerca di altre testimonianze del coesistere di due tendenze opposte tra loro troviamo all’inizio del secolo la pubblicazione della “bibliotheca chenica curiosa” nella quale si segnava l’immutata vitalità della tradizione alchemica.
Nella prefazione all’opera il medico Manget ricorda quando avvenne nel 1685 nel laboratorio di Boyle uno sconosciuto poveramente vestito riuscì a produrre oro e Boyle dovette ammettere che era vero oro della ricerca di laboratorio.
D’altro canto verso la fine del secolo si compie il passaggio definitivo dall’alchimia alla chimica grazie all’opera di Lavoisier che contribuì in modo determinante a definire la separazione tra aspetto simbolico-produttivo e aspetto sperimentale- cognitivo.
Dobbiamo dire che la svolta operata da Lavoisier si produsse in forza della sua avversione accanita nei confronti della teoria ancora intrisa di spirito magico-alchemico enunciata da Stahl.
Proprio a partire dal disaccordo su la teoria di Stahl in seguito all’urto tra lo spirito magico-alchemico e lo spirito scientifico la chimica in senso proprio cominciò a separarsi nettamente dall’alchimia.
Separazione sancita dalla-enciclopedia che presentava le due dimensioni (scienza sperimentale e sapienza magico-alchemica) sotto due voci ben distinte:” alchimia “e “chimica”.
Tuttavia l’enciclopedia assegnava all’alchimia un ruolo di tutto rispetto: veri alchimisti venivano infatti definiti quanti dopo essersi applicati alla chimica ordinaria si erano spinti più lontano verso l’ignoto.
Quando si parla di magia alchimia e credenze gnostiche presenti nel settecento un nome soprattutto si affaccia alla mente ovvero quello del mitico Cagliostro.
Cagliostro era figlio anche lui di una tradizione che evitando di rivolgersi nettamente a Dio faceva riferimento alla divinità presenti in ogni essere viventi così da rendere possibile la riconquista della perfezione originaria.
Questo modo di pensare è senza dubbio prettamente gnostico.
Siciliano d’origine Giuseppe Balsamo passato alla storia come Cagliostro è davvero una delle grandi figure dell’occultismo settecentesco.
Iniziato alla massoneria in Inghilterra soggiornò verso il 1783 a Napoli e a Lione fondando a quanto pare in entrambe le città un rito massonico noto come “alta massoneria egiziana”.
Percorse quindi l’Europa esercitando ovunque le sue doti di guaritore e aprendo logge massoniche in numerose città.
Condannato a morte dal Sant’Uffizio venne rinchiuso nella Rocca si San Leo avendo avuto commutata in carcere a vita la condanna a morte.
Dobbiamo dire che sulla sua prigionia si svilupparono molte legende.
Una di queste narra di una sua fuga negli stati uniti d’America dove avrebbe infine condotto una vera e propria esistenza immortale.
Tale legenda sembra quasi voler dire che alchimisti e maghi cercavano di impadronirsi di un potere quasi divino e inoltre cercavano di mettersi in rapporto con vari tipi di entità soprannaturali.
Detto ciò riteniamo concluso il nostro discorso sulla magia e alchimia nel secolo dei Lumi.
Prof. Giovanni Pellegrino