L’arte dello Shibari, l’antica pratica del bondage giapponese

Lo Shibari, l'antica arte del bondage giapponese

Shibari: storia dell’arte del bondage giapponese

Quando si parla di Shibari, o meglio di Kinbaku, ci si riferisce a quella forma di bondage erotico nato e praticato in Giappone, una disciplina che consiste nel legare o immobilizzare un partner, in gergo definito come sottomesso. Nel tempo lo Shibari è divenuto popolare in tutto il mondo come forma di BDSM. Di fatto, i più accosteranno questa attività a una pratica erotica, ma in realtà è molto di più: oggi lo Shibari è considerato come un’opera d’arte, proprio per l’uso che si fa delle corde e dei nodi, ed è molto in voga tra i nawashi, ovvero i maestri di Shibari. Grazie alle diverse e all’apparenza complesse tecniche di legatura, il corpo del sottomesso si trasforma in una sorta di scultura vivente: i nodi intrecciati e le lunghe e colorate corde sono come pennelli e decorazioni, dipingono il corpo come fosse una tela rendendo le curve morbide ed eleganti.

Che cos’è lo Shibari: tra erotismo e arte

Lo Shibari è una pratica che unisce erotismo e arte. Non è una semplice forma di bondage, ma una vera e propria espressione artistica, dove la bellezza dei nodi, detti baku, e la composizione della scena ricoprono un ruolo di primaria importanza. L’arte del Kinbaku-bi, ovvero il “bello del legare stretto”, è una disciplina complessa che richiede una profonda conoscenza delle tecniche di legatura e una sensibilità estetica raffinata.

L’unione tra umano e divino

Si pensi che anticamente, al fine di simboleggiare l’unione tra l’umano e il divino, le tradizioni del Sol Levante includevano nelle cerimonie religiose proprio la legatura, una pratica carica di significati simbolici e spirituali. Nel contesto dell’erotismo giapponese, lo Shibari si inserisce in una tradizione che risale ai periodi Edo e Meiji, dove le shunga, stampe erotiche giapponesi, raffiguravano spesso scene di legatura.

Le origini dello Shibari: l’hojōjutsu

L’arte dello Shibari deriva da un’antica forma di sottomissione in uso nel periodo Edo (1603 – 1868), ovvero l’hojōjutsu, l’arte marziale che immobilizzava i prigionieri di guerra tramite l’uso di funi di canapa e iuta, dette nawa. Questa si perfezionò nel XV secolo, quando le risorse metalliche scarseggiavano: così i samurai adottarono proprio le corde di canapa e di iuta per attuare l’hojōjutsu. Quindi i prigionieri non venivano spesso rinchiusi in una prigione, ma semplicemente immobilizzati con una corda.

Il simbolismo dei colori delle corde

Quest’arte marziale era complicata già a quel tempo, ma molto curiosa: per esempio, veniva scelta la corda di un colore particolare per simboleggiare una stagione, una direzione cardinale e l’animale protettore della rispettiva stagione e direzione. La corda blu simboleggiava il dragone, e quindi la primavera e l’est; il rosso, invece, invocava la fenice e quindi l’estate e il sud; il bianco rappresentava la tigre, simbolo dell’autunno e dell’ovest; la corda nera, infine, indicava la tartaruga, quindi l’inverno e la direzione nord.

Lo Shibari, l'antica arte del bondage giapponese
La tecnica del diamante, una classica legatura contenuta nell’hojōjutsu.
(Fonte immagine: Wikipedia)

L’influenza del teatro Kabuki e degli ukiyo-e

L’antenata disciplina del bondage non si trova soltanto nell’hojōjutsu, ma anche nel teatro Kabuki, dove gli attori venivano legati in modo da ricreare pose e movimenti drammatici. Gradualmente la legatura entra nell’immaginario erotico dei giapponesi grazie alle scene di coercizione contenute nei seme, un tipo di ukiyo-e, ovvero stampa artistica nipponica. Verso la fine del periodo Edo i colori delle corde vengono ridotti a due, il bianco e l’indaco, poiché simboleggiavano il ramo della forza armata che utilizzava le corde stesse. Queste erano di tre tipi: l’honnawa, la corda principale; l’hayanawa, una corda più breve e utilizzata per le legature iniziali; la kaginawa, una corda uncinata.

Seiu Ito: il padre dello Shibari moderno


(Fonte immagine: Wikipedia)

Il fotografo e pittore Seiu Ito (1882-1961) è oggi riconosciuto come il “padre del Kinbaku” (termine usato come sinonimo di Shibari): fu lui a combinare le tecniche bondage con l’arte moderna. Seiu prese ispirazione dalle scene di costrizione del kabuki e le riadattò al corpo femminile, rinnovandone l’aspetto estetico e trasformandone la tecnica in una vera e propria disciplina. Tra le prime donne a praticare il Kinbaku ci fu Yukimura Reiko, attrice e modella che contribuì a diffondere l’arte del bondage in Giappone. Celebri sono i momenti in cui Seiu chiedeva ai propri modelli di farsi legare per rappresentare appieno le torture del periodo Edo, prese come ispirazione per i suoi quadri.

L’ispirazione da Yoshitoshi

L’esempio più famoso è proprio quello di sua moglie Kise la quale, incinta del loro figlio, venne legata a testa in giù per ritrarre l’opera ukiyo-e La casa solitaria nella brughiera di Adachi del pittore e poeta Yoshitoshi. Dal 1950 in poi lo Shibari si diffuse grazie alle riviste Kitan Club e Yomikiri Romance, le prime a pubblicare foto di bondage, contribuendo a inserire lo Shibari nella storia della fotografia.


Illustrazione de La casa solitaria nella brughiera di Adachi (1885) di Yoshitoshi.
(Fonte immagine: Wikipedia)


Dipinto di Seiu Ito, ispirato da Onibaba and her victims di Yoshitoshi.
(Fonte immagine: Wikipedia)

Shibari e Kinbaku: differenze e uso contemporaneo

Innanzitutto, bisogna fare una precisazione sui termini Shibari e Kinbaku: sostanzialmente si possono usare come sinonimi, ma il primo viene principalmente usato in Occidente. Shibari è un termine generico e ampio che indica l’atto di legare, mentre Kinbaku è più specifico – è composto da kanji che significato rispettivamente ‘stretto’ e ‘bloccare’ – poiché traduce il complesso intreccio di nodi fatto per legare e sospendere le persone. Shibari e Kinbaku sono quindi intercambiabili se usati per parlare del bondage giapponese. Nello specifico, Shibari si riferisce a qualsiasi tipo di bondage con la corda, mentre Kinbaku indica la forma più artistica ed estetica del bondage stesso, quello di arte performativa, la quale si sofferma sulla bellezza dei nodi attorcigliati e dei legami tra le corde. Artisti contemporanei come Morishige Kinjō portano avanti la tradizione del Kinbaku, esplorando nuove forme di espressione e sperimentando con tecniche di sospensione, ovvero l’atto di sollevare il corpo legato.

Le tecniche di legatura dello Shibari

Il Kinbaku è quindi caratterizzato da rigide ed elaborate tecniche di nodi e legature, nonché dall’attenta cura della posizione del corpo del modello e della composizione della scena. Nel gergo del bondage si usano anche i termini rigger o cima della corda, ovvero il dominante che lega la corda inferiore, cioè il sottomesso. Tra alcune tecniche di legatura troviamo l’Ushiro takatekote, un legamento detto a scatola poiché circonda il petto e le braccia; questo è spesso la base di altre legature, come l’Ebi-tie o gambero, originariamente progettato come legatura di tortura del periodo Edo. Oppure il polsino Hojōjutsu, chiaramente ispirato all’arte marziale omonima, il cui scopo è trattenere e stringere le braccia.

Asanawa: la corda tradizionale

In giapponese la corda in fibra naturale è chiamata asanawa: viene usata spesso la canapa poiché è simbolo di potere. Oltre alla canapa, la corda dello Shibari può essere in iuta, cotone e persino in lino, per essere ben resistente ma morbida.
Lo Shibari si è evoluto nel tempo, diventando parte integrante della storia del BDSM e influenzando la cultura popolare in tutto il mondo. La sua complessità e il suo valore artistico ne fanno una pratica affascinante, che continua ad attrarre artisti, performer e appassionati.


Rappresentazione dell’Ushiro takatekote.
(Fonte immagine: Wikipedia)

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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