«Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.» (Guy de Maupassant)
A volte per viaggiare basta poco. A Carlo Duina, artista bresciano e fondatore dello Spazio Arte Duina, per farlo bastano carta, colla e taglierino.
In un mondo che corre sempre più veloce, dimentico della bellezza della semplicità, c’è chi, invece, ci crede ancora. E in uno studio, tra Brescia e Palermo, affida il suo mondo immaginifico a una tecnica che si nutre di lentezza e lavorìo delle mani: il collàge.
E così, nelle mani di Carlo Duina, brandelli di carta diventano creature d’altri tempi: bambine che cavalcano balene, natanti che si tuffano dal cielo, uomini che rincorrono sogni. E così, nelle sue mani, brandelli di carta diventano poesia.
Un atlante universale della bellezza, un ciclo di illustrazioni nate dall’idea di dare risposte o porgere domande. Un aiuto su come ritrovarsi quando ci si perde. Mappe perfette, che, in qualche modo, svelano come ritrovare la strada, semplicemente sfiorando quel che di profondo dormiva fino ad ora.
Scandagliamo l’universo artistico di Carlo Duina attraverso le sue parole.
Carlo, come nasce la tua arte?
La mia è una formazione di bottega, tradizionale. Quando sei spesso in giro è difficile portare con te solventi, diluenti, ho iniziato allora ad organizzare materiali che trovavo, carta, colla e così sono nati i miei collages. Mi piace l’idea di riciclare, assemblare cose facendole rinascere. Sono partito da bozzetti, una serie di lavori legati all’Odissea, sul tema del viaggio. Non c’era un testo, erano solo visioni. Da sempre, però, sono un amante delle parole. Da sempre scrivo appunti su taccuini. Non sono mai stato un gran lettore, ma col tempo ho capito che mi piaceva la poesia. La scrittura fa parte di quello che sono, per questo mi sembrava necessario legare parole alle mie visioni.
Vengono prima le parole o le immagini?
Non c’è un prima e un dopo, non necessariamente. I linguaggi si sostengono a vicenda: un’immagine non si capirebbe fino in fondo senza la didascalia, così come le parole sarebbero solo parole senza l’immagine.
I soggetti delle tue opere trasudano nostalgia, amore per un tempo andato…
Mi viene naturale, è vero, sono un tipo nostalgico. Una volta mi hanno detto “parli di una nostalgia senza tempo”, ma la mia è una nostalgia anche piacevole, profonda, in cui è bello perdercisi.
Quali sono i tuoi modelli?
Potrei risponderti tutti gli artisti che ho frequentato studiando Storia dell’arte, dal Rinascimento all’arte contemporanea. Il collage fotografico è una tecnica particolarmente apprezzata dai dadaisti, immagini nuove ottenute attraverso accostamenti imprevisti, ma non ho punti di riferimento in particolare.
Ripensando agli inizi, credi che col tempo ci sia stata un’evoluzione nei tuoi lavori?
Sicuramente oggi ho capacità di utilizzo che prima non avevo, le mie opere sono autobiografiche, cambiano con me, ma l’amore, i sogni, la nostalgia sono temi universali, che non conoscono tempo e spazio.
A quali canali ti affidi per diffondere della tua arte?
Non amo i social, ma riconosco che oggi siano fondamentali per la diffusione dell’arte. Un tempo c’erano i mecenati, poi sono nate le gallerie, i bookshop e spazi più intimi, che hanno una loro sensibilità. Quelli che personalmente preferisco.
Cambiano i mezzi di diffusione, cambia anche la tecnica…
Sono cresciuto con la matita in mano. Oggi il disegno è diventato digitale, ma in fondo è solo uno dei tanti mezzi. Certo, io continuo a preferire la materia, toccare il tangibile.
La cultura, gli artisti sono tra i soggetti più in balìa di questo assurdo periodo. Tu come lo stai vivendo?
Nei primi mesi ho visto il buio, immobilizzato dal pensiero dell’inutilità di ciò che mi riesce, la mia arte. Ma subito dopo è seguita una rivoluzione, il lockdown ha partorito una serie di lavori bui che cercano la luce, un po’ una metafora della vita, no? Zola dice che il genio è nulla senza il lavoro e, in fondo, solo lavorando nascono cose. Ma, ti dirò, per me questo non è un lavoro, ho sempre fatto arte solo per me. Illustro cose solo se mi piacciono, non modifico i miei lavori su commissione. La mia parte artistica non è mai stata per me un dovere.
Difficile forse, visti i tempi, parlarne ora, ma ci sono progetti nel cassetto?
Questo mese avrei dovuto portare in mostra “Dal buio alla rivoluzione”, la serie di lavori nati durante il lockdown. Attendiamo tempi migliori.