Jesse Owens, nato ad Oakville, negli Stati Uniti, è stato un primatista mondiale di salto in lungo ed uno specialista della velocità, settore dell’atletica leggera che ha a che fare con la corsa. Egli è particolarmente noto per la sua solenne performance alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in cui riuscì a vincere quattro medaglie d’oro e passò alla storia per essere stato il primo ad aver superato la barriera degli otto metri nel salto in lungo. Non a caso, nella suddetta disciplina, è stato uno degli atleti più longevi della storia, per un periodo di 25 anni.
Jesse Owens, però, era più di un semplice atleta: la sua esperienza di vita ci spinge a riflettere sul tema del razzismo, nello specifico negli Stati Uniti d’America, dove gli afroamericani erano ancora considerati diversi dai bianchi.
Un atleta di caratura mondiale, vincitore di quattro ori e “privilegiato” nell’aver ricevuto addirittura il saluto ed i complimenti di Adolf Hitler, al rientro in patria non fu ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Roosevelt: quest’ultimo scelse di invitare esclusivamente gli atleti bianchi. Da qui, nasce quello che possiamo definire un vero e proprio paradosso: è possibile che un atleta afroamericano, con la pelle scura, sia stato trattato meglio dai nazisti che dai suoi concittadini americani?
Biografia e prime competizioni
Jesse Owens, nato nel 1913, ha sempre apprezzato e praticato la corsa sin da piccolo: fu proprio questa passione a spingerlo ad iscriversi ai campionati nazionali studenteschi, dove iniziarono ad essere notate le sue grandi abilità, come detto, nella corsa e nel salto in alto. Nel 1935, al Big Teen Meet, una delle più longeve associazioni sportive degli Stati Uniti, riuscì a stabilire ben cinque record mondiali e ne eguagliò un sesto. In particolare, tra questi, riuscì a stabilire il record mondiale di salto in lungo, di ben ben 8,13 metri, che rimase intoccato per 25 anni.
Jesse Owens: Le Olimpiadi di Berlino (1936)
Per un ancora semi-sconosciuto Owens, le Olimpiadi di Berlino del 1936 rappresentavano un ottimo trampolino di lancio per la sua carriera. Nello stesso anno, Berlino era la capitale della Germania nazista e, come sappiamo, la differenza razziale nel Terzo Reich era un punto cardine della politica di Hitler. Le Olimpiadi di Berlino furono piuttosto particolari poiché, nella costruzione degli impianti e delle strutture, i tedeschi non badarono a spese: per il regime nazista, era un’ottima occasione per mostrare agli occhi del mondo la grandezza della Germania, sia in termini di infrastrutture, di edifici, ecc.
Oltre l’aspetto pratico, c’era anche in gioco la questione della razza: gli ariani avrebbero dovuto dimostrare sul campo la loro superiorità.
Il regime, però, non aveva fatto i conti col giovane statunitense, un atleta dalla pelle nera considerato dai maggiori gerarchi inferiore che, in questo contesto e di fronte agli occhi impotenti del Führer, riuscì a vincere ben quattro medaglie d’oro e a stabilire un record mondiale.
Come accennato nell’introduzione, un evento particolarmente controverso vide protagonista lo stesso Jesse Owens: secondo la propaganda statunitense, in seguito alla vittoria contro il rivale tedesco Luz Long, al momento della sua uscita dall’Olympiastadion, l’imponente stadio costruito dai nazisti per l’occasione, Hitler avrebbe dovuto abbandonare il luogo per non incrociare Owens e non congratularsi con lui, in quanto nero.
In realtà, come raccontato dallo stesso atleta nel libro che ha scritto, al momento del passaggio sotto la tribuna in cui sedevano i maggiori gerarchi nazisti, gli sguardi di Hitler e di Owens si sarebbero incrociati, ed il Führer gli avrebbe rivolto un saluto e delle congratulazioni.
Owens scrive: Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto.
Di questo, fu testimone anche un pilota statunitense, che affermò: Sono stato testimone del saluto a Jesse Owens di Hitler, il quale si congratulò con lui per i risultati raggiunti.
Colui che, in realtà, non degnò l’atleta di un incontro, fu proprio lo stesso presidente degli Stati Uniti del periodo, Delano Roosevelt.
Lo stesso Owens affermerà nel suo libro: Hitler non mi snobbò; fu Roosevelt che mi snobbò. Il presidente non mi mandò nemmeno un telegramma. E ancora: Vero, Hitler non mi ha stretto la mano ma fino a qui non lo ha fatto neanche il Presidente degli Stati Uniti.
Al momento dell’invito alla Casa Bianca degli atleti, come detto, furono chiamati soltanto i bianchi perché la priorità di Roosevelt era ottenere il voto della popolazione del sud, apertamente razzista. L’atleta, infatti, parlerà della questione nel libro che scrisse egli stesso,The Jesse Owens story, in cui racconta le sue esperienze sportive e la sua lotta al razzismo.
Dopo le Olimpiadi
La vita di Jesse Owens, dopo le Olimpiadi di Germania, fu particolarmente triste poiché, ingiustamente, la propaganda statunitense lo disprezzò per il contrasto avuto col presidente, che non gli fece avere la giusta riconoscenza. Basti pensare al fatto che gareggiava in spettacoli insensati, in cui sfidava cavalli da corsa o macchine, riuscendo anche a vincere. Dall’età di 30 anni fumatore incallito, egli spirò, poi, il 31 marzo del 1980, in uno stato di semi povertà e in solitudine.
Per concludere, se oggi si pensa alla storia di questo mitico atleta, o si osservano i famosi video in bianco e nero delle sue performance atletiche, si fa riferimento al simbolico affronto di un giovane con la pelle scura durante il regime razzista di Hitler. In realtà, come abbiamo visto, i fatti raccontati dallo stesso Owens prendono una piega totalmente differente: la sua storia rappresenta un atto di ribellione nei confronti di qualsiasi tipo di discriminazione, senza fare alcuna distinzione tra Germania (conosciuta universalmente come oggettivamente razzista) e l’America (apparentemente aperta a tutti, ma in realtà fortemente discriminatoria).
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