Sirio Corbari, conosciuto generalmente con il nome di battaglia Silvio Corbari, è stato un partigiano italiano insignito della medaglia al valor militare grazie alle sue azioni condotte nei confronti dell’oppressore nazifascista. In seguito alla liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi, nella cosiddetta Operazione Quercia, e alla Mancata difesa di Roma dell’otto settembre, l’Italia si spaccò in due: nel territorio centro-settentrionale, da Roma verso nord, fu creato dai nazisti uno stato fantoccio che aveva come capitale Salò, conosciuto come Repubblica di Salò, o Repubblica Sociale Italiana (RSI); nel territorio meridionale, coadiuvato dagli sbarchi alleati, il governo Badoglio creò il Regno del Sud, il cui reggente era Vittorio Emanuele III.
In seguito alla divisione dell’Italia e alla conseguente invasione dei nazisti della penisola, le azioni partigiane, spinte da un forte sentimento di rivalsa nei confronti dell’oppressore tedesco, iniziarono a moltiplicarsi in tutto il territorio. Nacquero, quindi, delle vere e proprie bande che compivano atti di sabotaggio, scontri e attentati contro i nazifascisti. Tra queste figura la banda Corbari, che prende il nome dal partigiano Silvio: questa era principalmente attiva nella zona della Romagna, nello specifico tra Forlì e Ravenna, tra il 1943 e il 1944.
Già precedentemente, Silvio Corbari era ben noto alle forze dell’ordine locali e alla popolazione grazie alle sue beffe nei confronti dei comandanti e soldati fascisti. In seguito all’armistizio e all’invasione dell’Italia da parte dei soldati della Wehrmacht, questi scherni si moltiplicarono: le sue azioni non ebbero grande effetto sulla guerra condotta dagli occupanti, ma furono importanti soprattutto da un punto di vista psicologico. Oltre che essere ricordate per il coraggio che Silvio dimostrava nel prendersi gioco dei suoi rivali, le sue azioni gli permisero anche di ottenere delle armi con le quali combattere e resistere.
Le beffe di Silvio Corbari
La prima beffa che ricordiamo è il finto ordigno piazzato a Faenza: fu posizionata, da Corbari, una bomba priva di esplosivo sotto il monumento dedicato al generale Raffaele Pasi, nel bel mezzo di una piazza a Faenza, e successivamente furono avvisate anonimamente le autorità. La leggenda dice che, tra artificieri, ufficiali e forze di polizia, furono circa 200 le persone che si presentarono per cercare di disinnescare l’ordigno: durante la procedura la bomba fu aperta ma, al suo interno, non vi furono tracce di esplosivo, bensì di pasta e fagioli. Quella di Corbari è ricordata come la prima e ultima bomba a pasta e fagioli.
Un’altra celebre derisione è quella legata alla sua finta morte. Alcune autorità fasciste avevano divulgato la notizia che Corbari fosse morto in uno scontro a fuoco avvenuto poco prima: in realtà si rivelò essere tutta una menzogna o uno sbaglio poiché, una volta che Silvio ne venne a conoscenza, qualche giorno dopo si presentò in un bar frequentato da milizie fasciste con l’uniforme della Guardia Nazionale Repubblicana. Qui prese un caffè, fissando con occhi di sfida tutti i presenti, i quali l’avevano riconosciuto e, prima di uscire, strappò le foto di Mussolini appese all’interno del bar, le gettò a terra e ci sputò sopra. Nonostante le varie milizie cercarono di rincorrerlo, Corbari fuggì a bordo di un’auto guidata da un suo compagno partigiano.
In realtà, furono diverse le volte in cui si presentò con gli abiti delle forze repubblichine o tedesche: ad esempio, una volta girò con la divisa da colonnello tedesco a bordo della sua auto, facendo saluti romani ai nazifascisti che incontrava per strada; in un’altra occasione, vestito da capitano della milizia repubblichina, si presentò al posto di guardia della milizia della RSI dove, ordinando di adunare i soldati presenti, si fece restituire tutte le loro armi poiché dovevano essere revisionate.
Agli albori del 1944, Silvio Corbari fece pervenire un biglietto anonimo al segretario del fascio di Faenza, Raffele Raffaeli, invitandolo l’indomani, solo e disarmato, ad incontrarlo in una chiesa. Il giorno successivo, ovviamente, Raffaeli si presentò armato e in compagnia di altri camerati ma, nella chiesa, non c’era nessuno, salvo un vecchietto che pregava e che chiedeva l’elemosina. Raffaeli diede 10 lire al vecchietto e abbandonò il luogo. Il giorno seguente, il segretario si sentì orgoglioso del fatto che una figura come quella di Corbari avesse avuto paura di lui, riportando questa notizia ai giornalisti locali che fecero girare la voce in paese. Qualche tempo dopo, Raffaeli ricevette un’altra lettera anonima, con al suo interno 10 lire, che recitava: Ti rendo le dieci lire che mi hai generosamente donato, ma sappi che io ti ho regalato la vita. In altre parole, il vecchietto che chiedeva l’elemosina era lui, Silvio Corbari.
Una beffa simile alla precedente fu fatta dal Corbari qualche mese dopo, nel marzo del ’44: fece pervenire una lettera in cui proclamava che, da lì a qualche giorno, avrebbe occupato con la sua milizia la cittadina di Tredozio. Nel giorno prestabilito, ingenti truppe repubblichine si spostarono nel territorio per paura di un’eventuale occupazione: il paese fu messo in stato d’allarme e fu presidiato, ma nessuno dei partigiani si presentò. Soltanto un anziano che portava con sé un maiale, legato ad una corda, era presente e stava per entrare in un’osteria: all’ingresso chiese ad una delle milizie di tenergli l’animale per poter bere un bicchiere di vino. Il giorno seguente, Corbari inviò al comandante di quei soldati una lettera in cui affermava che anche quella volta il personaggio fosse lui, e che i suoi uomini sono buoni giusto a badare al suo maiale.
La cattura e la morte
Le beffe di Corbari erano già allora ben conosciute dai cittadini e dalle milizie durante il periodo repubblichino: la sua figura divenne quella di un vero e proprio mito per la popolazione locale. Negli scontri a fuoco di Silvio contro i repubblichini figura l’uccisione di Gustavo Marabini, esponente di spicco del fascismo romagnolo, nonché fucilatore dei renitenti di leva della RSI. Corbari e Iris Versari – una partigiana che faceva parte della banda di Silvio – si accordarono con Marabini per arrendersi e deporre le armi. In realtà, questo incontro era fittizio: era un’occasione per uccidere il fascista romagnolo. Saliti in macchina di Marabini, i due non furono perquisiti correttamente e, appunto, Versari riuscì a nascondere tra i vestiti una pistola che fu poi utilizzata da Silvio per uccidere l’uomo.
Da quell’evento, la caccia alla banda era una delle priorità dei fascisti romagnoli. L’attività partigiana di Silvio fu repressa in seguito ad una soffiata da parte di un nuovo membro della banda Corbari, Franco Rossi, il quale rivelò l’esatta posizione dei suoi compagni partigiani. Rossi si accordò segretamente col comandante di un battaglione repubblichino e, il 18 agosto 1944, si presentò con la milizia armata presso Ca’ Cornio, nei dintorni di Modigliana, il luogo in cui i membri della banda si nascondevano.
Una volta arrivata la milizia, iniziò lo scontro a fuoco: dopo aver ucciso un soldato tedesco, Iris Versari si suicidò per non cadere viva nelle mani dei fascisti; Corbari e altri due partigiani si arresero e furono arrestati. Uno di questi, un certo Spazzoli, fu ucciso solo in un secondo momento, durante il trasferimento a Castrocaro, a causa dei suoi lamenti dovuti alle numerose ferite subite nel tentativo di scappare. Silvio Corbari e Adriano Casadei, l’altro partigiano arrestato, furono portati a Castrocaro e poi impiccati. Le salme dei quattro furono poi appese sui lampioni di Piazza Saffi, a Forlì, come monito alla popolazione locale.
Colui che aveva fatto la soffiata, Franco Rossi, fu processato come spia e collaborazionista del regime nazifascista e condannato a 18 anni di reclusione. Si salvò soltanto grazie all’Amnistia Togliatti, un’estinzione delle pene imputabili ai fascisti per i crimini compiuti durante la Seconda guerra mondiale.
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