Con i suoi 200 milioni di abitanti e 8.510.000 km² di estensione territoriale, il Brasile si classifica come il paese più popoloso dell’America latina e il quinto paese più popolato nel mondo. Possiede una società multietnica, in particolare composta da discendenti indios, coloni portoghesi e schiavi africani che nel corso della storia coloniale hanno raggiunto il paese per soddisfare la richiesta di mano d’opera schiavista, ma soprattutto di diversi gruppi di immigrati che sono arrivati in Brasile tra il 1820, data prossima all’indipendenza del paese, e il 1970. Gli immigrati in questione sono tedeschi, portoghesi, spagnoli ma soprattutto italiani, tant’è vero che oggigiorno quella italiana è la comunità più grande presente nel territorio brasiliano. Il 15% della popolazione brasiliana, infatti, è di origine italiana: circa 25 milioni di persone, rendendo quella brasiliana la più grande comunità italiana nel mondo. Scopriamo la storia della comunità italiana in Brasile.
Storia
I primi immigrati italiani arrivarono in Brasile nel 1874 attraverso la storica Spedizione Tabacchi, infatti, il 17 febbraio del 1974, viene autorizzata e poi finanziata la spedizione che porta nello stato di Espirito Santo 368 famiglie di coloni trentini e veneti che diedero vita alla cosiddetta Colonia Nova Trento, la prima comunità italiana in Brasile. Ma nel 1880 il flusso migratorio aumentò ulteriormente, soprattutto in seguito al 1888, un anno importantissimo per il Brasile, ovvero l’anno dell’abolizione della schiavitù su cui si era basato il sistema lavorativo fino a quel momento. La manodopera degli italiani quindi sostituì in buona parte quella schiava. Chiaramente gli italiani, essendo bianchi e cattolici, non avevano lo stesso trattamento degli schiavi neri ma la qualità della vita era di poco superiore, le condizioni di lavoro della comunità italiana in Brasile erano precarie, anche perché la mentalità schiavista rimase ben intrisa nei proprietari terrieri brasiliani per molto tempo. Una forma tipica di quel periodo fu l’immigrazione sussidiata, il Brasile aveva così tanta necessità di mano d’opera, che aveva perso in seguito all’abolizione della schiavitù, che anticipavano addirittura le spese del viaggio agli emigranti e si occupavano della collocazione, questo però accompagnato anche da violenze e abusi. Tutto ciò portò il governo italiano ad abolire tale forma di immigrazione in Brasile nel 1902 con il Decreto Prinetti.
La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè negli stati di San Paolo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina e Espirito Santo, quindi tutti stati del sud e sud-est del Brasile. Più di un milione e mezzo di italiani emigrarono nel paese, di questa cifra più della metà proveniva dal nord-Italia e soprattutto dal Veneto. Quella in Brasile fu un’emigrazione anomala perché per la prima volta non fu il sud-Italia a partire per il nuovo continente ma il ricco nord. Oggi, quindi, la comunità italiana in Brasile è ampissima, tant’è che negli stati del sud del Brasile la popolazione italiana raggiunge picchi altissimi, come nella città di San Paolo, la seconda città nel mondo per numero di italiani dopo Roma.
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