L’invasione longobarda del 568 segnò la fine dell’unità del territorio italiano, che fu diviso in due aree: una sotto il dominio longobardo e una ancora controllata dai bizantini. Le profonde differenze culturali e religiose tra i nuovi dominatori e gli italici resero una difficile integrazione, determinando la definitiva rottura del paese con il suo passato romano. A differenza di quanto era accaduto con gli ostrogoti, che ammiravano e rispettavano la cultura classica e si erano avvalsi della collaborazione del ceto aristocratico romano, con i longobardi la situazione fu assolutamente opposta. Infatti, quel che restava dell’antica aristocrazia romana venne spazzato via e le terre passarono totalmente nelle mani dei nuovi arrivati. Per tali ragioni, i rapporti tra invasori e romani furono spesso ostili. Alcune città vennero abbandonate o ridussero drasticamente le proprie dimensioni e, almeno in un primo momento, vi fu anche un arretramento delle attività artigianali e commerciali. Quindi, la conquista longobarda fu una vera e propria sfortuna per i discendenti dei romani.
Nel difficile rapporto tra longobardi e romani, la differenza religiosa aveva il suo peso, dal momento che anche i longobardi erano ariani se non addirittura pagani. Di conseguenza, solo molto gradualmente i longobardi si avvicinarono al cattolicesimo. Per rendere ancora più complicati i rapporti tra longobardi e romani, dobbiamo dire che in un primo tempo restò in vigore la proibizione di battezzare i figli secondo il rito cattolico. Per tutte queste ragioni, per arrivare alla conversione generalizzata al cattolicesimo e all’integrazione religiosa con gli italici ci volle ancora quasi un secolo.
È interessante, a nostro avviso, descrivere quali erano le caratteristiche principali della società longobarda. Prima di descrivere le caratteristiche fondamentali della società longobarda, riteniamo opportuno ricordare che sull’origine del popolo longobardo esiste un singolare mito di fondazione. In un’opera anonima, composta nel VII secolo d.C., si racconta l’origine del nome longobardo, che sarebbe legato all’intervento di Freya. Freya era la divinità che, nel pantheon germanico, era moglie del signore degli dei, Godan, più conosciuto con il nome di Odino. Dopo tale breve digressione mitologica, cominceremo la nostra descrizione della società longobarda.
I longobardi erano giunti in Italia suddivisi in gruppi chiamati fare, i cui membri erano di solito legati tra loro da vincoli di parentela e obbedivano agli ordini di un capo, ossia il duca. La parola *fara* indicava in origine un gruppo di uomini armati, impegnati in una spedizione a fini di saccheggio e di conquista. Tale parola, dopo il definitivo stanziamento degli invasori, finì per designare la comunità longobarda presente in un luogo e quindi il luogo stesso. L’usanza di eleggere un re dell’intero popolo longobardo si limitava ai momenti di emergenza, quando era strategicamente conveniente unificare il comando nelle mani di una sola persona, ma veniva abbandonata dopo avere superato il pericolo. Così, alla vigilia della migrazione in Italia, i duchi avevano scelto come re Alboino ma, una volta condotta a buon fine l’invasione, il trono rimase vacante per molti anni. Di conseguenza, i duchi si mossero in totale autonomia, insediandosi nelle aree occupate dai guerrieri del loro seguito. Quando la presenza longobarda in Italia si trasformò in insediamento stabile, i duchi preferirono tornare alla nomina di un re. Inoltre, i duchi scelsero la città di Pavia come sede della corte. Infatti, la presenza di un comando unificato si rendeva necessaria per fronteggiare la resistenza bizantina e portare a termine la conquista del territorio. I ducati più lontani rimasero tuttavia a lungo indipendenti dal potere del re, opponendosi ai vari tentativi di costringerli all’obbedienza. Questo fu il caso del Ducato di Spoleto, che controllava una vasta area dell’Italia centrale, e del Ducato di Benevento, a sua volta esteso nei territori delle attuali regioni Campania e Basilicata.
La struttura della monarchia longobarda si consolidò e si rafforzò progressivamente nel corso del VII secolo. Oltre alla conquista della Liguria, portata via ai bizantini nel corso del regno di Rotari (636-652), venne fissato per la prima volta in forma scritta il diritto consuetudinario dei longobardi. Dobbiamo mettere in evidenza che fino a quel momento tale diritto consuetudinario veniva tramandato solo oralmente. Lo scopo di tale iniziativa di Rotari era di garantire uniformità nell’amministrazione e nella gestione della giustizia. Il risultato di tale iniziativa fu il cosiddetto editto di Rotari, promulgato a Pavia nel 643. Esso venne redatto in latino, che rimaneva, anche nell’Italia longobarda, la lingua ufficiale della cultura scritta e in particolare del diritto. L’editto di Rotari si applicò in origine ai soli longobardi, mentre per gli italici continuò ad essere valido l’antico diritto romano. In un secondo momento, tale editto venne applicato nei territori soggetti al dominio dei longobardi.
Prenderemo ora in considerazione i principali contenuti dell’editto di Rotari. L’editto ci restituisce l’immagine di una società rurale, nella quale l’agricoltura era l’attività economica prevalente, mentre le città avevano perso l’importanza che rivestivano in epoca romana. L’Italia era ormai diventata un paese di boschi, dove si praticavano la caccia e la raccolta di frutti ed altri prodotti naturali. Inoltre, l’Italia era ormai diventata un paese violento, dove per risolvere le controversie si ricorreva all’ordalia: l’accusato e l’accusatore, invece di confrontare le loro ragioni in tribunale, erano chiamanti a sfidarsi a duello nella convinzione che chi aveva ragione avrebbe senz’altro vinto la sfida armata contro il suo avversario. In compenso, l’editto aboliva la faida, cioè la vendetta privata compiuta dai parenti della vittima contro gli autori di un crimine. L’editto di Rotari sostituiva la faida con un sistema di pene pecuniarie, progressivamente più consistenti a seconda della gravità del delitto connesso. Tali pene pecuniarie erano dette guidrigildo.
Alla fine del VII secolo avvenne il definitivo passaggio dei longobardi al cattolicesimo. Tale scelta determinò un miglioramento dei rapporti dei longobardi con la Chiesa e favorì l’integrazione con l’abolizione italica. In questa importante svolta ebbe un ruolo centrale la regina Teodolinda, la quale promosse una politica di restauro degli edifici religiosi cristiani. Inoltre, Teodolinda effettuò generose donazioni alla chiesa di Roma. Dobbiamo anche dire che Teodolinda fu moglie di due sovrani longobardi. Inoltre, i longobardi, che al loro arrivo in Italia avevano incendiato santuari e abbazie, cominciarono a fondare monasteri, molti dei quali dotati di importanti biblioteche. Tali monasteri divennero ben presto centri di copiatura dei testi classici. Dobbiamo mettere in evidenza che abati e monaci provenivano di solito dall’aristocrazia longobarda, che aveva individuato nella costruzione e nella direzione di monasteri una forma nuova di controllo del territorio. Infatti, le abbazie detenevano spesso proprietà terriere assai vaste, molte delle quali erano situate in zone strategiche. Di conseguenza, tali abbazie contribuivano al consolidamento della presenza longobarda nella penisola.
Concludiamo tale articolo ricordando che una perla dell’architettura religiosa longobarda è il tempietto di Cividale del Friuli, situato oggi in provincia di Udine. Cividale era stata la prima città conquistata dai longobardi quando giunsero in Italia. Dobbiamo dire che Cividale divenne da subito capitale di un importante ducato. In tale città nacque Paolo Diacono, uno degli uomini più colti del suo tempo, esponente di punta della corte longobarda. Paolo Diacono è conosciuto per essere l’autore della Storia dei Longobardi, che è la fonte scritta più importante sul passato e sulla cultura del popolo longobardo.
Prof. Giovanni Pellegrino
Fonte immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Arte_longobarda,_lastrine_dello_scudo_di_stabio,_cavaliere,_vii_secolo,_bronzo_dorato,_berna,_historisches_museum.jpg