La parola johatsu 蒸発 vuol dire letteralmente “evaporati” e si usa per indicare persone scomparse nel nulla, che rinunciano alla propria identità per cercare sollievo e rifugio nell’anonimato. L’obiettivo in questo caso è quello di poter ricominciare la vita da zero, eliminando completamente tutti i fallimenti sociali connessi alla propria identità pubblica e ripartire con una nuova identità. Il termine deriva dal giapponese poiché è una pratica molto diffusa nel territorio del Sol Levante. Ma cos’è che ha portato alla nascita del fenomeno del Johatsu?
Cos’è il Johatsu?
Questo impulso a mollare tutto e sparire dalla circolazione è molto diffuso nei cittadini giapponesi, vittime della pressione sociale, di violenze domestiche o di problemi economici. Questi individui stravolgono la propria vita, facendo tabula rasa della vita che conducevano in origine: cambiano lavoro, città e identità.
Non si tratta di un’“evaporazione” nel nulla vera e propria, ma ciò in cui consiste realmente il johatsu è un cambiamento radicale di identità, di lavoro e di relazioni sociali che la persona adotta in una forma di anonimato di tipo legale ed amministrativo. Gli johatsu resettano la loro vita precedente, per “rinascere” con un nuovo nome e nuove prospettive, favoriti anche dalle leggi giapponesi che tutelano la privacy dei cittadini e le loro scelte, anche così particolari e drastiche.
L’onore e la vergogna in Giappone
Alcune ricerche indotte in Europa hanno stimato circa 100 mila casi di scomparsa l’anno in Giappone. Cos’è che stimola il diffondersi del johatsu è la forte pressione sociale che la cultura giapponese impone ai propri cittadini. Il giudizio sociale gioca un ruolo fondamentale nell’indurre le persone a decidere di cambiare identità e sparire. Cos’è che spinge le persone ad “evaporare” è spesso la vergogna che si prova per aver perso il lavoro, oppure per un matrimonio fallito, o più ancora per aver contratto dei debiti. Sono tutti fattori che secondo l’ideologia giapponese rappresentano una fonte di umiliazione.
Come si può ben capire, il Giappone dà una grossa importanza alle questioni d’onore, che per i nipponici riguardano le aspettative della società e della collettività nei loro confronti. I giapponesi sono culturalmente propensi a dare il massimo, e il fallimento non è contemplato tra le possibilità: fallire comporta un sentimento conseguente di vergogna, che porta chi ha fallito a non vedere una via d’uscita, se non quella di “evaporare”.
Cos’è che rende possibile l’attuarsi del johatsu sono le Yonige-ya, ossia compagnie dedite ad aiutare le persone a scomparire e garantiscono loro l’anonimato. Alcune di queste realtà si occupano, infatti, di reperire nuove identità e trasferire gli johatsu in luoghi lontani da quelli di origine. Il Giappone dispone di un sistema legislativo che prevede leggi sulla privacy molto stringenti e quindi nessuno può rintracciare qualcuno che si è allontanato volontariamente, neppure se crede che sia in pericolo. Il solo fatto che queste associazioni esistano suggerisce quanto il fenomeno abbia preso piede nel paese nipponico.
Sconvolgente quanto assurdo è l’esistenza di un “quartiere che non esiste” a Tokyo: si chiama Sanya ed è stato cancellato dalle mappe da alcuni decenni, diventando la località preferita degli johatsu, perché lì si può vivere anche senza documenti e senza essere disturbati, favorendo l’avanzare dei fenomeni antisociali giapponesi.
Il Giappone è una terra lontana, misteriosa e, pur essendo molto occidentalizzata, il suo stile di vita e la sua filosofia dell’esistenza sono assai distante dai nostri.
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