I rapporti tra il cristianesimo e il mondo in cui gradualmente si diffuse furono spesso problematici. La storia dell’impero romano è perciò anche la storia del complesso rapporto tra i cristiani e quelli che furono presto ribattezzati pagani, ovvero un termine polemico che suggeriva l’idea secondo cui la religione romana tradizionale restava radicata soprattutto nei villaggi di campagna e costituiva un residuo del passato. Secondo i cristiani, tale residuo del passato era destinato presto a essere spazzato via dal trionfo della religione cristiana.
Il potere politico romano assunse per lungo tempo una posizione di neutralità rispetto al cristianesimo. Tuttavia, occasionalmente, gli imperatori sfruttarono a proprio vantaggio i sentimenti di ostilità verso il nuovo culto presente a livello popolare. Nelle dottrine del cristianesimo c’era senza dubbio un aspetto che rendeva problematico il rapporto con l’autorità politica. Stiamo parlando dell’assoluto monoteismo dei cristiani. Il fatto di non riconoscere nessun’altra divinità all’infuori del proprio Dio implicava, infatti, almeno per i fedeli più coerenti, il rifiuto di prendere parte ai culti della religione romana.
Resta però da capire perché questo costituisse un problema in un mondo come quello romano, che da sempre era abituato a interagire con culture diverse e religioni, anche lontanissime dalla propria. Il fatto è che quella romana era una religione essenzialmente pubblica. I riti venivano celebrati da sacerdoti, che erano magistrati simili a tutti gli altri. Ai cittadini si chiedeva di partecipare alle cerimonie del culto perché questo costituiva parte integrante della condizione di cittadino. In altri termini, si partecipava alla vita religiosa perché si era cittadini e non perché si era credenti nel senso moderno della parola. In età imperiale, poi, la pratica religiosa aveva assunto nuovi significati politici.
Già Augusto era stato divinizzato dopo la morte e, dopo di lui, numerosi imperatori vennero divinizzati allo stesso modo. Venne istituito un collegio di sacerdoti con il compito di celebrare il culto dell’imperatore defunto. L’intera cittadinanza era chiamata a partecipare a tale culto come espressione di lealtà verso l’impero. Per tutte queste ragioni, la religione romana era molto tollerante nei confronti delle convinzioni individuali. Tutti, nel privato, potevano adorare gli dei che volevano. Quello che invece non veniva accettato era il rifiuto di partecipare alla vita religiosa della comunità. Possiamo dire che si trattava molto di più di un problema politico che di una questione religiosa.
Nonostante ciò, persecuzioni sistematiche contro i cristiani cominciarono in una fase molto avanzata dell’età imperiale, all’incirca nel sessantennio che va dall’imperatore Decio a Diocleziano. In questo periodo, segnato da una grave crisi economica e politica, l’individuazione dei cristiani come capro espiatorio era utile per dare sfogo al diffuso malcontento sociale o per indebolire un potere concorrente, ovvero quello della Chiesa, che si stava rapidamente affermando. Lo scontro non era però l’unica forma del rapporto tra cristianesimo e cultura tradizionale.
L’enorme patrimonio letterario, filosofico e religioso del mondo greco-romano non poteva essere semplicemente respinto in blocco. Per tale ragione, molti autori cristiani lo integrarono nel proprio orizzonte di pensiero. Dei ed eroi della religione tradizionale potevano essere recuperati come prefigurazioni o anticipazioni del Cristo. È il caso del più famoso tra gli eroi greci, Eracle, le cui celebri fatiche vennero interpretate dai cristiani come l’immagine dell’anima in lotta contro le tentazioni del peccato. Anche la storia di Enea fu letta dai cristiani in chiave simbolica. Infatti, nelle opere di alcuni autori cristiani, il suo lungo viaggio, la sosta presso la regina Didone, che di lui s’innamorò, la discesa nel regno dei morti, infine l’assunzione in cielo, diventarono metafora del cammino dell’anima dalle seduzioni del piacere fino alla conquista del Paradiso.
Dobbiamo dire che anche lo stesso Virgilio venne presto considerato una specie di precursore del cristianesimo. Ciò avvenne soprattutto a causa di un componimento in cui l’inizio di una nuova era di pace e prosperità era legato all’imminente nascita di un misterioso bambino. Gli autori cristiani sostennero che il misterioso bambino di cui parlava Virgilio in tale componimento non era altri che il Bambin Gesù. Ma, nonostante tutto, rimaneva insormontabile lo scoglio costituito dal fatto che i cristiani adoravano l’unico Dio e rifiutavano di adorare la molteplicità degli dei della religione tradizionale romana. Tale fatto non poteva essere minimamente accettato e tollerato dai romani appartenenti a tutti i ceti sociali, a partire dagli imperatori per giungere alle classi situate più in basso nella scala sociale.
Ci sono degli episodi che simboleggiano molto bene il conflitto tra pagani e cristiani nell’impero romano. L’episodio che meglio esprime questo conflitto è la disputa che oppose nel 384 il prefetto di Roma Simmaco, il più importante esponente della cosiddetta “resistenza pagana”, e il vescovo di Milano Ambrogio. Tale disputa riguardò l’altare della Vittoria, sul quale i senatori erano soliti celebrare sacrifici agli dei, nonché pronunciare giuramenti solenni. Proprio la presenza di tale altare era stata causa di polemiche e conflitti. Qualche anno prima l’altare era stato rimosso, per poi essere ricollocato al suo posto e quindi nuovamente rimosso. Tale rimozione non era stata mai accettata dall’aristocrazia pagana che, per bocca di Simmaco, chiedeva che fosse rimesso al suo posto.
La questione riguardante l’altare della Vittoria era di un’importanza assoluta, dal momento che essa aveva soprattutto un valore simbolico. Ma qual era tale valore simbolico in ultima analisi? In ultima analisi, si trattava di comprendere se tra la religione tradizionale romana e la religione cristiana ci fossero ancora margini di convivenza e possibilità di dialogo. Secondo Simmaco, religione tradizionale e cristianesimo potevano pacificamente convivere e coesistere. Ma il vescovo di Milano, Ambrogio, non la pensava in questo modo, tanto è vero che egli affermò che un imperatore cristiano poteva onorare esclusivamente l’altare di Cristo. Tale frase di Ambrogio era foriera di grandi conseguenze, dal momento che si trattava di una velata minaccia nei confronti dell’imperatore Valentiniano II. Infatti, se tale imperatore romano avesse soddisfatto la richiesta dei pagani, avrebbe rischiato con molta probabilità la scomunica, ovvero l’esclusione dalla comunità cristiana. L’eventuale scomunica avrebbe messo in serio pericolo Valentiniano II, dal momento che scioglieva i sudditi dal vincolo di obbedienza e sottomissione nei confronti dell’imperatore.
Alla fine, l’altare della Vittoria, nonostante i tentativi effettuati da Simmaco e dall’aristocrazia pagana, non venne mai più ricollocato al suo posto. Al di là di tale singolo episodio, questo significò che la sorte della religione tradizionale romana era segnata per sempre. Tale episodio, dal notevolissimo valore simbolico, fece capire, se ce ne fosse ancora bisogno, che ormai non c’era più spazio per la religione tradizionale romana in un impero che era da tempo diventato cristiano.
Possiamo dire che, usando una famosa espressione latina che recita “mala tempora currunt”, tempi duri erano ormai iniziati per la religione tradizionale romana, avversata da coloro che detenevano il potere politico e religioso nell’impero romano di quel tempo.
Prof. Pellegrino