Dio Marduk e la sua importanza per i Babilonesi
La mitologia babilonese è una parte importante della mitologia mesopotamica e rappresenta l’insieme delle credenze religiose e dei miti dei popoli babilonese e assiro, che fiorirono in Mesopotamia tra il II e il I millennio a.C. Queste civiltà, eredi della tradizione sumera, svilupparono un ricco pantheon di divinità e un complesso sistema di miti e leggende, che riflettono la loro visione del mondo e il loro rapporto con il divino. La mitologia babilonese è caratterizzata da un forte sincretismo religioso, in cui divinità e miti di origine diversa si fondono e si adattano alle esigenze culturali e politiche del tempo, dando vita a un sistema religioso complesso e stratificato.
Tutti i popoli della Mesopotamia erano politeisti, cioè credevano in molti dèi. Alcune divinità rappresentavano gli elementi della natura, come An (il cielo), Enlil (il vento), Enki (il dio della terra e delle acque dolci); altre invece erano la personificazione di valori e sentimenti, come Shamash (la giustizia) e Ishtar (l’amore e la guerra). Ogni città aveva una divinità protettrice particolare, a cui era dedicato un tempietto sulla ziggurat, la caratteristica torre templare a gradoni. In seguito però in tutta la Mesopotamia si diffuse il culto del dio Marduk, il dio poliade di Babilonia, che divenne la divinità principale del pantheon babilonese, assorbendo caratteristiche e prerogative di altre divinità, diventando il re degli dei.
Vi erano molti altri dèi e dee: Il dio Nabu, per esempio, identificato col pianeta Mercurio, era ritenuto figlio del dio Marduk e di Sarpanitu. Nabu era il dio della sapienza, della scrittura e della cultura, “il dio che possiede intelligenza”, “colui che ammaestra”, “signore dello stilo per scrivere”, patrono degli scribi e protettore della conoscenza. Un’altra divinità importante, nonché demone infernale e violento, era Nergal, associato al mondo sotterraneo e alle malattie. Gli antichi babilonesi credevano che l’oltretomba o il “paese da cui non c’è ritorno” fosse governato da questo dio, una divinità detta anche “colui che arde”, associato al fuoco distruttore e alle epidemie, un dio temuto e rispettato.
I babilonesi vivevano continuamente il dramma della morte e della guerra e di conseguenza, la speranza della gente comune si aggrappava unicamente al credo degli dei; vantavano inoltre di una grande conoscenza ingegneristica, come dimostrano le imponenti opere architettoniche; costruivano città, templi e palazzi che ancora oggi stupiscono per la loro magnificenza, come la famosa Porta di Ishtar e i leggendari giardini pensili di Babilonia. Al di là delle indubbie similitudini con quella sumera, la mitologia babilonese presenta divinità e miti propri di quella cultura, come quello del dio Marduk, patrono della città di Babilonia, e il poema della creazione, l’Enūma eliš, che ne narra l’ascesa a divinità suprema, diventando il re degli dei e l’ordinatore del cosmo.
Il mito della creazione babilonese: l’Enūma eliš e le imprese del dio Marduk
Il Testo Sacro, l’Enūma eliš, è un poema teologico e cosmologico in lingua accadica dove è descritta la nascita del mondo, degli dèi e degli uomini, e le imprese del dio Marduk, che diviene re degli dèi e creatore dell’universo, sconfiggendo il caos primordiale. Questo scritto si compone di 7 tavole con 150 versi ciascuno, ritrovate in diverse versioni in siti archeologici della Mesopotamia, a testimonianza della sua diffusione e importanza. Come in ogni mito della creazione, la nascita del mondo e di tutte le cose è il frutto del volere di un dio supremo, venerato e amato dai suoi stessi figli. Per i greci era Zeus, per gli egizi invece Atum-Ra; nella mitologia babilonese, il riferimento era il dio Marduk. Nota è la battaglia con Tiamat, la dea primordiale che personifica le acque salate, nella quale le due divinità rappresentano la primavera e l’inverno, l’ordine e il caos. Così nasce il mito della creazione, trascritto nell’Enūma eliš, un testo sacro vecchio di 4000 anni, che veniva recitato durante le celebrazioni del nuovo anno.
Il dio Marduk era il figlio di Ea (Enki per i sumeri) e Ninhursag (o Damkina), che fu eletto a divinità suprema dopo la morte del suo predecessore: Hammurabi, il grande re legislatore. Secondo il mito, la nascita della Terra è dovuta alla lotta con Tiamat, la dea che per i babilonesi rappresentava gli oceani e le acque salate. Il dio Marduk, infatti, voleva mettere ordine nell’Universo e diede filo da torcere a Tiamat fino ad ucciderla, dividendo il suo corpo in due: con una metà creò il cielo e con l’altra la terra, cominciando così la sua opera di ordinatore del cosmo. Agli altri dei assegnò compiti diversi, dando vita al Sole, alla Luna e agli Astri, per regolare il tempo e il calendario. Successivamente disse: «prenderò sangue di Kingu (il secondo sposo di Tiamat) e fango e ne formerò un piccolo fantoccio. Il suo nome sarà Uomo», creando così l’umanità affinché servisse gli dei. Soddisfatti, gli dei costruirono un tempio sulla Terra in suo onore, dove gli uomini lo avrebbero venerato, amato e ringraziato, la città di Babilonia, la “Porta degli Dei”.
Credenze religiose babilonesi: l’aldilà e il culto delle immagini
I babilonesi credevano nell’immortalità dell’anima, credevano in un inferno di fuoco noto come l’«aldilà dominato da dei e demoni» e «voragini di fuoco» riservate ai «dannati nell’aldilà»; i Babilonesi usavano croci come simboli di devozione religiosa e le immagini avevano un ruolo determinante nel culto pubblico e privato, come si desume dall’ampia diffusione di riproduzioni dozzinali di tali immagini, utilizzate come amuleti o oggetti di devozione personale. Fondamentalmente si riteneva che la divinità fosse presente nell’immagine se questa aveva determinate caratteristiche e addobbi e se era trattata con la debita cura, secondo precisi rituali. La presenza divina nell’immagine sacra era un concetto fondamentale nella religione babilonese, e influenzava profondamente la pratica del culto.
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