Quando parliamo di diritto islamico è importante non confondersi con il diritto dei Paesi Islamici poiché il primo è l’unione tra šarī‘a e fiqh ovvero l’insieme delle regole dei Testi Sacri, mentre con il secondo intendiamo il qanūn cioè l’insieme delle norme emanate dagli organi dello Stato che si occupano del potere legislativo. Il diritto islamico, quindi, è l’insieme dei principi derivanti dalla rivelazione divina e che ogni musulmano deve seguire per compiere i suoi doveri religiosi, come da teologia islamica.
Per capire esattamente cosa sia il diritto islamico bisogna analizzare le sue componenti principali, šarī‘a e fiqh
Il primo termine ha 3 significati:
- il significato letterale di šarī‘a è la strada verso l’abbeveratoio;
- il significato intrinseco è il sentiero che il musulmano deve seguire per realizzare il volere divino;
- il significato giuridico è l’insieme delle regole che ricaviamo dai testi chiari e specifici che troviamo all’interno del Corano e della Sunna.
Il secondo termine ha 3 significati:
- il significato letterale è la conoscenza di ciò che non essendo chiaro ha bisogno di uno sforzo maggiore per essere capito;
- il significato giuridico è la conoscenza delle regole che formano la šarī‘a;
- un ulteriore significato giuridico è l’interpretazione delle fonti che servono per produrre le regole utili per alcune situazioni che non sono specificate né all’interno del Corano né nella Sunna.
I rami del diritto islamico sono 4:
- ‘Ibādāt il cui significato è foro interno e il cui obiettivo è esaltare e adorare Dio per guadagnarsi un posto nell’aldilà; riguarda il rapporto tra l’uomo e Dio;
- Mu‘āmalāt il cui significato è foro esterno e il cui obiettivo è realizzare il benessere dell’umanità; riguarda il rapporto tra gli uomini;
- Munākāḥāt è il diritto di famiglia e si occupa della sopravvivenza della specie;
- ‘Uqūbā è il diritto penale e si occupa della sopravvivenza della società.
Le fonti su cui si basa il diritto islamico si dividono in tre categorie:
- primarie, di cui fanno parte il Corano e la Sunna;
- secondarie, di cui fanno parte l’Iǧmā‘ e il Qiyās;
- sussidiarie, di cui fanno parte ʻUrf, istiḥsān, e istiṣḥāb.
Le primarie e le secondarie sono le fonti più importanti del diritto islamico e anche quelle su cui c’è un’accordo unanime.
Il Corano è il libro contenente la parola di Dio che è inimitabile, che fu rivelata a Maometto, Muhammad in arabo, tramite l’angelo Gabriele che è stata trasmessa da quel momento fino ad oggi. Inizialmente, il Corano veniva preservato attraverso la memorizzazione o l’iscrizione delle sue parti su materiali come pietre, legno ed ossa; fu solo con il terzo califfo che fu messa per iscritto una versione del Corano.
La Sunna è considerato un codice di comportamento; questo termine viene usato per indicare una pratica abitudinaria che è andata consolidandosi nel tempo e che di conseguenza è diventata obbligatorio da seguire.
L’Iǧmā‘ è la terza fonte del diritto islamico, il suo significato è consenso, infatti esso riguarda proprio l’accordo unanime tra i muhadithun, ovvero i dotti più autorevoli della comunità islamica.
Infine, abbiamo il Qiyās il cui significato è analogia, questa fonte infatti si occupa non di produrre una nuova regola bensì estende l’applicazione di una regola creata per una determinata situazione ad un altro caso simile.
Fonte immagine di copertina: Pixabay