Tra i filosofi che inaugurarono il cosiddetto Nuovo Paradigma, allontanandosi dalla fiducia positivista nella scienza, troviamo Henri Bergson. Filosofo francese considerato Maitre a Penser, cioè Maestro di Pensiero, Bergson rappresentava un punto di riferimento per tutti coloro che non credevano nel valore assoluto della scienza. In particolare, la sua riflessione sul tempo introduce una distinzione fondamentale tra il tempo della scienza e il tempo della vita, delineando una concezione del tempo come durata che influenzerà profondamente la filosofia e la letteratura del Novecento.
Henri Bergson: un filosofo contro la scienza del suo tempo
Henri Bergson (1859-1941) si distinse per la sua critica radicale al positivismo e al meccanicismo dominanti nella cultura del suo tempo. Egli non negava l’utilità della scienza, ma ne contestava la pretesa di poter spiegare in modo esaustivo la realtà, soprattutto quando si trattava di fenomeni come la coscienza, la vita e il tempo.
Il tempo della scienza: un tempo spazializzato e misurabile
Secondo Bergson, il tempo della scienza è un tempo quantitativo, misurabile, reversibile e spazializzato. È il tempo degli orologi, delle formule matematiche e degli esperimenti scientifici. Questo tempo è caratterizzato dall’essere una successione di istanti distinti e omogenei, tutti uguali tra loro.
La collana di perle: una metafora del tempo scientifico
Per illustrare questa concezione del tempo, Bergson utilizza la metafora della collana di perle: ogni perla rappresenta un istante, separato e identico agli altri. La collana nel suo insieme rappresenta il tempo come una successione lineare e omogenea di questi istanti. Ad esempio, un’ora è composta da 60 minuti, a loro volta composti da 60 secondi, in un ripetersi continuo e calcolabile. Questo tempo è utile per organizzare la nostra vita quotidiana, ma non corrisponde alla nostra esperienza interiore del tempo.
Il tempo della vita in Bergson: la durata come flusso continuo e irreversibile
Il tempo della vita, per Bergson, è invece qualitativo, interiore e irreversibile. È il tempo della coscienza, della memoria e dell’esperienza vissuta. Questo tempo non è una successione di istanti separati, ma un flusso continuo, una durata in cui passato, presente e futuro si compenetrano.
Il gomitolo di lana: una metafora del tempo interiore
Per descrivere il tempo della vita, Bergson utilizza la metafora del gomitolo di lana o della valanga. Ogni istante vissuto non si perde, ma si accumula e si conserva nella nostra memoria, arricchendo e modificando continuamente la nostra interiorità. Il nostro “io” è come un gomitolo che si ingrossa progressivamente, conservando in sé tutte le esperienze passate. Ogni attimo passato, infatti, non è morto, ma resta dentro di noi, all’interno della nostra memoria, a condizionare la nostra esistenza.
La memoria e la percezione soggettiva del tempo
Il tempo della vita è quindi caratterizzato dall’irreversibilità: non si può tornare indietro, ogni momento è unico e irripetibile. La nostra percezione del tempo è influenzata dalle nostre emozioni, dai nostri ricordi e dalle nostre aspettative. Quando usiamo espressioni come: “Il tempo è volato”, oppure: “Questo tempo non passa mai”, ci riferiamo proprio al tempo della vita, perché sull’orologio le ore sono sempre le stesse, ma nella vita, in base all’aspettativa e alla carica emotiva, lo vediamo passare in maniera diversa.
Conclusione: l’importanza della durata nella filosofia di Bergson
La distinzione tra tempo della scienza e tempo della vita è fondamentale nella filosofia di Bergson. La sua concezione della durata come flusso continuo e irreversibile ha avuto un’enorme influenza sulla filosofia e sulla letteratura del Novecento, aprendo nuove prospettive sulla comprensione della coscienza, della memoria e dell’esperienza umana. Per approfondire l’argomento, si consiglia la lettura delle opere di Bergson, in particolare “Saggio sui dati immediati della coscienza” (1889), “Materia e memoria” (1896) e “L’evoluzione creatrice” (1907).
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