Cos’è l’utilitarismo: quanto conta il benessere altrui?

Cos'è Utilitarismo: quanto conta il benessere altrui?

Rispondere alla domanda “cos’è l’utilitarismo?” richiede davvero una minima conoscenza filosofica, se si è dotati di grande introspezione. Quante volte vi è capitato di trovarvi di fronte a scelte che sacrificassero la vostra felicità per il bene altrui? In questo articolo cercheremo di dare una spiegazione logica a quell’istinto che ci porta a compiere una scelta piuttosto che un’altra. Partiremo, dunque, dal concetto filosofico dell’utilitarismo e di come questo sia insito in ognuno di noi.

Ma che cos’è l’utilitarismo?

L’utilitarismo è una corrente filosofica nata in Inghilterra verso la fine del 1700, protraendosi poi per il resto dell’Europa durante i primi decenni del 1800. Figure cardine di questa corrente sono i  filosofi Jeremy Bentham (Londra, 15 febbraio 1748 – Londra, 6 giugno 1832)  e James Mill (Angus, 6 aprile 1773 – Kensington, 23 giugno 1836). I due, legati rispettivamente da un rapporto maestro–discepolo, si impegnano nel formulare un pensiero dall’obiettivo ben chiaro: il fine di una società e di ogni comportamento deve essere il raggiungimento della felicità per il maggior numero di persone possibile. Non un’innovazione, questo è certo. Già l’Illuminismo si presentava come fenomeno di un’emancipazione individuale per un miglioramento delle condizioni umane. Lo stesso Cesare Beccaria, nella sua opera “Dei delitti e delle pene, sosteneva che la progettazione delle punizioni doveva essere schematizzata al fine di prevenire ulteriori delitti, contribuendo così al bene comune.

Bentham e il calcolo dei piaceri

È usanza comune concepire il bene e il male come concetti astratti, privi di corpo e soprattutto non misurabili. Vi sarà infatti capitato di pensare a delle azioni e categorizzarle immediatamente in una tabella con due colonne: bene e male. Tuttavia, Bentham stravolge l’immaginario collettivo affermando che non esistono azioni buone o cattive; quello che ci porta a classificarle come tali è tutto frutto del piacere o del dolore che generano in noi e negli altri. Definire cos’è l’utilitarismo è semplice: si tratta dell’utilità dell’azione, ovvero quanto serve ad apportare piacere e ad evitare il dolore. Considerando la difficoltà che richiede la valutazione morale di un’azione, Bentham ha cercato un approccio più matematico, individuando sette parametri fondamentali per quantificare il piacere e, di conseguenza, anche il dolore delle azioni:

  • Intensità
  • Durata
  • Certezza
  • Prossimità
  • Purezza
  • Fecondità
  • Estensione

Per essere più chiari, facciamo un esempio: tenendo conto dei parametri sovrastanti, se il piacere provocatoci da una fetta di torta risulta nel complesso avere esito positivo, allora sarà morale per noi mangiarla.

James Mill e il principio di associazione

Mill riprende la teoria di Bentham, assicurandosi però di sottolineare che il calcolo dei piaceri poteva essere solamente letto come una linea guida e non un principio assoluto. Mill offre uno sguardo psicologico su cos’è l’utilitarismo introducendo il principio di associazione. Esso sosteneva il riconoscimento della realtà tramite la nostra personale percezione, influenzata da sentimenti e impressioni. Nella teoria di Mill, la mente è la protagonista. Un esempio pratico è il momento in cui guardiamo la persona amata. Riflettete: nel momento in cui guardiamo la persona di cui siamo innamorati, la nostra mente riceve una sensazione, a cui risponderà in automatico anche il nostro corpo. A quel punto, anche quando questa non sarà più presente davanti ai nostri occhi la ricorderemo; di conseguenza ci saremo formati un’idea a cui legheremo il ricordo della sensazione di benessere.

Utilitarismo e attualità

Sebbene si tratti di un concetto elaborato nell’Ottocento, cos’è l’utilitarismo oggi se non un fondamento su cui testare noi stessi? Quanto siamo disposti a farci carico delle nostre scelte e delle conseguenze affiliate? Pensate, ad esempio, alla lotta contro il fast fashion. Siamo ormai quotidianamente bombardati da prove schiaccianti che ci mettono davanti all’evidenza del cambiamento climatico e dei danni che questo tipo di produzioni ha sull’ambiente. Tuttavia, quanti sarebbero disposti a rinunciare definitivamente all’acquisto di determinati brand? Su una scala globale, la strada è ancora lunga. Il motivo per cui la maggior parte della popolazione sceglie di ignorare questo problema è infatti logicamente spiegabile attraverso la teoria di Bentham. Il fast fashion è sbagliato? Certo. Nonostante ciò, rifacendoci ai sette parametri citati in precedenza, se il piacere generatomi dall’acquisto di un vestito all’ultima moda pagato davvero poco è più forte di quello che proverei nel contribuire alla salvaguardia del pianeta, allora la mia morale farà in modo che quella scelta rientri nella categoria di quelle azioni valide che hanno ragione di essere compiute.

L’utilitarismo è ormai una chiave di lettura anche per la cultura cinematografica. Molti film e serie tv riflettono su cos’è l’utilitarismo, come Black mirror, serie televisiva britannica di Charlie Brooker che miscela un futuro distopico con un utilizzo della tecnologia ormai sopra le righe. L’episodio Orso Bianco (stagione 2, episodio 2) è uno spunto di riflessione interessante per il nostro argomento. Victoria, protagonista dell’episodio, è una giovane donna senza ricordi, costantemente perseguitata da una folla pronta a riprendere le sue torture con il cellulare. Alla fine, Victoria si rivela essere una criminale, e il suo tormento una sorta di legge del contrappasso. In questo caso, la riflessione utilitaristica si riversa nel concetto di giustizia: sacrificare la dignità umana per l’intrattenimento collettivo.

 

Fonte immagine dell’articolo: Pixabay

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