Oriente e Occidente sono due realtà che si contrappongono da sempre. Basti pensare a I Persiani di Eschilo o ad Esiodo. L’Oriente barbarico persiano è popolato da uomini corrotti che non conoscono la libertà, contrapposti all’uomo occidentale, libero, che crede nella democrazia e nella razionalità. Si tratta di uno stereotipo antichissimo: l’unico modo per superarlo è approcciarsi con curiosità alle diverse lingue e culture. In questo contesto si inserisce il rapporto tra gli europei e il buddismo e il ruolo che esso ha avuto nella letteratura tra Oriente e Occidente.
L’influenza del buddhismo e il contributo di Schopenhauer
Il rapporto tra gli europei e il buddismo comincia nel 1721, quando Pietro il Grande, imperatore di Russia, invitò alcuni filologi tedeschi a decifrare un’iscrizione di un testo tibetano, il sutra del Buddha, che parlava dell’importanza del mantra nel raggiungimento della pace interiore. Qualche decennio dopo, nel 1760, Caterina la Grande fece stabilire alcuni coloni tedeschi in un territorio disabitato nella zona del basso Volga, dove entrarono in contatto con i vicini villaggi calmucchi di religione buddista. Agli inizi del 1800, Schmitt, invitato alla corte di Russia a Pietroburgo, esaminò questi rapporti e iniziò a tradurre molti testi buddisti, inaugurando il legame che si stava pian piano formando in merito alla letteratura tra Oriente e Occidente.
Nella metà dell’Ottocento, queste traduzioni trovarono riscontro tra il pubblico europeo grazie al lavoro del filosofo Schopenhauer. Nella sua famosa opera Il mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer propone una visione buddista riguardo al modo che l’uomo ha di approcciarsi al mondo. Egli parla di come gli esseri viventi siano caratterizzati dalla volontà di potenza di vita, una volontà egoistica che non può che provocare dolore, perché competitiva e aggressiva. Qual è la soluzione? La meditazione, la compassione verso ogni forma di vita e la contemplazione, che può essere stimolata dall’arte. Non è difficile trovare elementi buddisti in questa opera filosofica. Parlando in termini schopenhaueriani, il Nirvana, che nel buddismo rappresenta il rifiuto del ciclo di reincarnazione (samsara), potrebbe essere interpretato come la negazione della volontà di potenza. Inoltre, Schopenhauer associa Buddha ai mistici medievali, come San Francesco. Questa osservazione, ha contribuito a unire saperi umanistici di discipline come la filosofia e la letteratura tra Oriente e Occidente, pur non evidenziando a sufficienza le distinzioni tra le loro concezioni di estasi e del superamento del mondo.
La letteratura tra Oriente e Occidente: il buddismo in Germania
A partire dalla fine dell’Ottocento fino alla Prima Guerra Mondiale, si assiste a una significativa diffusione degli studi sul buddismo. Principalmente in area tedesca nascono traduzioni e movimenti buddisti, grazie ai lavori di Grimm, Karl Eugen Neumann, e al primo monaco buddista tedesco Nyanatiloka. Il poeta tedesco Rilke, influenzato dal lavoro di Schopenhauer, trovò ispirazione nei Reden, i testi buddisti tradotti e rielaborati da Neumann. Per Rilke, il Nirvana rappresenta un’esperienza di pienezza positiva, in contrasto con la visione negativa di Schopenhauer che la vedeva come assenza di dolori e passioni. Egli enfatizzava l‘elemento estetico del buddismo, e nella sua produzione si riscontra l’influenza della pratica buddista e della musica, come le vibrazioni musicali dell’ohm e del gong, che simboleggiano la pacificazione interiore. Nel 1906, Rilke scrive la raccolta Poesie nuove in cui, accanto al simbolo di Orfeo, poeta del dolore, propone Buddha. Dopo Schopenhauer, Rilke è uno degli scrittori più accurati nel presentare la connessione riguardo la letteratura tra Oriente e Occidente, rielaborando l’influenza buddista nella cultura tedesca.
Nei primi anni del Novecento, Hermann Hesse parla della concezione del buddismo da un punto di vista etico, vedendolo come un viaggio di verità sulla conoscenza di sé stessi. A differenza di Rilke, Hesse aveva vissuto in Oriente, ma rimase deluso dalle superstizioni popolari che, secondo lui, avevano corrotto l’antica religione orientale. Tornato in Germania, Hesse interpretò la lezione del Buddha come una via per la ricerca interiore, influenzato anch’egli dalle traduzioni dei Reden di Neumann. Nel 1922 scrive il suo famoso romanzo Siddharta, che contribuirà a creare un ponte nella letteratura tra Oriente e Occidente. Il protagonista, da giovane passionale in cerca del senso della vita, diventa l‘incarnazione del Buddha. Siddharta si mette in viaggio e trova sé stesso attraverso le sue esperienze. Qui il buddismo si colora di elementi tardo romantici tipicamente tedeschi: Siddharta viaggia e la sua ricerca di sé approda alla pace del Buddha, incarnando il concetto tedesco dello «Streben» (tensione) e di «Tat» (azione).
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