Edward Said è stato uno scrittore statunitense di origini palestinesi. Non si può non menzionare il suo lavoro rivoluzionario in relazione alla teoria postcoloniale e alle false narrative perpetrate dall’Occidente. Studioso e critico letterario di rilievo, si occupò del mondo arabo, assumendo spesso posizioni in netto contrasto con quelle degli intellettuali occidentali. Fu Said a mettere in luce la problematicità dello sguardo orientalista pubblicando il suo saggio Orientalism nel 1978.
L’orientalismo: di cosa si tratta?
La parola “orientalismo” fu coniata da lui stesso e all’interno dell’opera ne descrive ampiamente il significato: «Chiunque insegni, scrivi al riguardo, o faccia ricerche sull’Oriente è un orientalista e quello che fa è orientalismo». Costruendo la visione dell’Est come “altro”, gli orientalisti crearono la falsa narrazione dell’Ovest come un luogo di superiorità. Secondo la visione orientalista, l’Oriente è passivo, è un oggetto che manca di autodeterminazione e pertanto necessita per essere salvato di un uomo occidentale, che è un soggetto istruito e civilizzato. Gli orientalisti desideravano che l’Est fosse sviluppato tanto quanto l’Occidente. Contribuendo a questa visione dicotomica consciamente o inconsciamente, il progetto orientalista servì come strumento per legittimare la colonizzazione, e furono proprio le conoscenze (per quanto false) sull’Oriente a conferire potere ai colonizzatori. Essendo l’Oriente visto come un mondo troppo lontano e difficile da comprendere per gli occidentali, gli orientalisti si assumevano il compito di tradurre quelle culture che sembravano troppo distanti in modo da renderle più accessibili ai propri connazionali; tuttavia, queste osservazioni venivano effettuate al di fuori delle terre d’Oriente, senza realmente interagire con le persone locali. Le narrazioni orientaliste finiscono per mescolare miti e bugie, che svanirebbero se si desse spazio alle voci degli interessati.
Lo sguardo orientalista di Delacroix: Femmes d’Alger dans leur appartement
La letteratura e l’arte occidentale hanno contribuito significativamente per secoli alla narrativa dell’Oriente come luogo di alterità. La visione che ne risulta è un insieme di nocivi stereotipi riguardo la religione, i ruoli di genere, il vestiario e la sessualità femminile. Questi luoghi venivano percepiti come pericolosi, gli uomini violenti e conservatori, le donne promiscue e sottomesse, a differenza delle occidentali che erano caste e più libere.
Femmes d’Alger dans leur appartement di Delacroix è considerato il primo dipinto orientalista ed illustra non solo la centralità delle donne nel progetto coloniale, ma anche l’ossessione dei francesi nei riguardi delle donne algerine, soprattutto in merito al velo e alla sua importanza politica. Difatti, i colonizzatori francesi vedevano il velo come un ostacolo tra la società coloniale francese e quella colonizzata. Credevano che la colonizzazione non potesse essere completata senza prima conquistare le donne, e compreso in questo processo era la rimozione del velo. Il velo rappresenta per la donna una parte fondamentale della propria identità, che non deve essere giudicata secondo gli standard occidentali. Nel dipinto è possibile osservare quattro donne: una donna nera, probabilmente schiava, e tre donne arabe di cui una lasciva, una molto giovane e una timida, raffigurate in quello che sembra essere l’interno di un harem. Attraverso la rappresentazione di un luogo inaccessibile all’uomo, Delacroix rivela l’aspetto di queste donne senza il velo e colonizza questo spazio. L’effetto che ne deriva è senz’altro finto, un’immagine costruita dallo sguardo occidentale, in cui sembra che il pittore abbia sbirciato dalla porta semiaperta posta sul fondale del dipinto. L’harem era considerato un luogo di comportamento sessuale permissivo, un’area fortemente erotica che poteva essere solo immaginata e vista attraverso il voyeurismo.
Nella tradizione occidentale le donne orientali vengono spesso raffigurate nude, in un harem, associate alla seduzione, e dunque sessualizzate. Se sfogliamo le pagine dei vecchi diari degli esploratori o di molti romanzi, ci renderemo conto che questo è il ritratto della donna che ne emerge: una creatura a disposizione delle fantasie erotiche maschili, una vera e propria caricatura offensiva di una donna reale.
L’orientalismo delle donne bianche
A contribuire allo sguardo orientalista attraverso le proprie opere non furono solo gli uomini occidentali, ma anche le donne bianche. La dinamica creatasi tra le viaggiatrici occidentali e le donne orientali è tuttavia piuttosto complessa: in quanto donne poterono sfidare alcune costruzioni, come l’oggettificazione del corpo femminile, ma l’influenza coloniale permase in maniera evidente nelle loro produzioni. Anche se avevano la possibilità di accedere a questi luoghi misteriosi, questo non significava che potessero produrne un’immagine accurata: la maggior parte delle viaggiatrici apparteneva infatti alla classe borghese e guardava quelle donne giudicandole secondo i parametri eurocentrici. Mentre l’harem era considerato dagli uomini come il luogo della sensualità, molte esploratrici lo descrivevano come il luogo dell’ozio e dello scandalo. Difatti, secondo questa visione, la casalinga occidentale durante il proprio tempo libero svolgeva attività produttive per sé stessa o per gli altri, mentre le donne dell’harem si dedicavano solo al pettegolezzo, fumavano rilassandosi sui cuscini e sui tappeti. La reazione più frequente di fronte a questo scenario è la pietà, il tipico atteggiamento paternalistico dell’Occidente, poiché le donne negli harem sono percepite come vittime di un sistema che schiavizza i loro corpi.
Grande attenzione era prestata ai corpi e ai vestiti delle donne. Il tipo di abbigliamento indossato è rappresentativo della propria cultura; pertanto, il paragone contribuisce alla costruzione dell’alterità e all’opposizione tra Est ed Ovest. Il modo in cui i corpi delle donne venivano descritti dallo sguardo occidentale rifletteva un’impostazione fortemente colonialista. Ciò accadeva sia quando erano giudicati in maniera negativa (si criticava ad esempio la forma delle sopracciglia o il tipo di trucco che avevano sui loro volti), sia quando la loro bellezza veniva esaltata eccessivamente, comparando le interessate ad icone occidentali. Anche il tono della pelle o la forma fisica erano aspramente giudicati, tenendo come punto di riferimento i tratti fisici delle donne caucasiche. Pertanto, le donne circasse, che avevano una pelle più chiara tra quelle che si trovavano nell’harem, erano giudicate come attraenti, a differenza delle schiave africane. Molti commenti furono prodotti anche riguardo le danze che venivano tipicamente svolte all’interno dell’harem da apposite ballerine. Queste danze erano spesso considerate come manifestazione di promiscuità e giudicate poco aggraziate o disgustose. Nonostante tutto, è innegabile affermare che queste donne furono importanti per le viaggiatrici per riflettere sulla concezione occidentale della femminilità.
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