Siete appassionati di filosofia e volete comprendere al meglio la filosofia di Schopenhauer? Ecco l’articolo che fa per voi.
Schopenhauer è stato uno dei primi filosofi della filosofia occidentale a rifarsi alla sapienza indiana, desume da questo tutto quel corredo di metafore e di immagini che provengono dal Nirvana e in particolare dal velo di maia di cui egli farà riferimento nella sua opera principale: “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung1818).
Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il testo si apre con una frase chiave: «Il mondo è una mia rappresentazione» in cui Schopenhauer spiega che noi siamo soggetti rappresentanti ma l’oggetto rappresentato dipende dalla nostra rappresentazione, che è la capacità di cogliere l’elemento che dipende dalla capacità percettiva.
Per esempio: “io” vedo l’albero, secondo la “mia” capacità rappresentante, che può avere caratteristiche diverse da come lo vedono altri. Quindi nel mondo io vedo un oggetto che dipende dalla mia capacità di rappresentare e dunque riprende la distinzione Kantiana però gli dà un altro significato: Fenomeno e Noumeno.
Schopenhauer afferma che il Fenomeno rappresenta l’apparenza, lo dobbiamo immaginare come una dimensione onirica in cui noi viviamo ed è possibile uscirne grazie al Noumeno, cioè la realtà. È possibile accedere al Noumeno squarciando il velo di Maya e quindi si arriva a comprendere cosa c’è sotto la trama illusoria delle apparenze del fenomeno.
Il velo di Maya è una trama di apparenze che copre la visibilità del Noumeno, quindi la realtà, e non ci da la consapevolezza del sogno.
Squarciando questo velo, esce la Volontà di vivere (Wille zum Leben). La volontà si può tradurre anche come desiderio, impulso cieco ed irrazionale a vivere, quindi per Schopenhauer la radice noumenica dell’uomo e dell’universo è la volontà, il desiderio. Afferma che tutto il creato è frutto dell’oggettivazione di volontà. Solo che nell’uomo la volontà è cosciente di sé per cui è più sofferente.
Una sua espressione divenuta molto famosa è: «La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia, intervallata da brevi momenti di piacere». Quindi il piacere non esiste se non come funzione derivata dal dolore perché il piacere viene in quel effimero momento di quiete tra due sofferenze; poiché la vita è un continuo desiderare.
Secondo Schopenhauer neanche il suicidio libera l’uomo dalla volontà di vivere perché con il suicidio si toglie solo un singolo essere dalla terra, ma la volontà di vivere continuerà eternamente a perpetuarsi. Anzi il suicida non nega la volontà ma la vita, afferma la volontà, perché vorrebbe una vita diversa.
Secondo il filosofo esiste un tentativo di salvezza che è l’Itersalvifico, un percorso di salvezza dal dolore ed esistono 3 possibilità:
- Arte
- Etica della pietà
- Ascesi
Arte. È una contemplazione delle forme ideali, mentre ammiriamo un quadro ci estraniamo dal mondo e dal dolore. Una forma di arte è anche la musica; quando per esempio ascoltiamo una canzone ci estraniamo da quella dimensione di noia, quindi arte e metafisica dei suoni sono salvifiche. Però c’è un limite perché prima o poi la musica finisce e torniamo alla realtà. Quindi è salvifica però effimera, non possiamo contemplare un bel quadro per tutta la vita.
Etica della pietà. Dalla pietà nasce la morale. Ci allontaniamo dal dolore perché la pietà ci vuole egoisti, in guerra. Schopenhauer afferma che gli uomini sono portati a farsi guerra, a prevaricare e la competizione porta sempre al pensiero di eliminare l’avversario ma solo fino a quando non c’è quel sentimento di empatia che ci allontana dal nostro egoismo e capiamo che soffriamo tutti allo stesso modo. L’uomo sentendosi solo con se stesso comprende che siamo accomunati tutti dal senso di sofferenza. Ecco che dalla pietà nasce l’etica negativa e positiva: negativa perché si limita solo a non far del male al prossimo; positiva perché vuole fare del bene, aiutare perché nell’altro vede se stesso.
Ascesi. Stato di gratitudine che è paragonato al Nirvana definito nulla eterno. È la nullificazione della volontà traducendola in Noluntas: la voluntas diviene noluntas cioè negazione della volontà. Significa arrivare mediante la pratica dell’astensione iniziale, per poi arrivare a controllare quindi non esserne schiavi ma soggetti attivi rispetto ai bisogni. Per esempio se abbiamo fame bisogna rinunciare, non appagare subito il desiderio ma controllarlo. Sta a noi gestire il bisogno e la volontà prima praticando rinuncia ai piaceri per poi diventare noi ad essere i veri detentori del piacere e non schiavi.
Quindi se noi nullifichiamo la volontà, diventiamo noi tutto rispetto a quella volontà.
Schopenhauer è un filosofo sempre attuale e consiglio di approfondirlo poiché cambia la prospettiva di vedere le cose.
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