I sonetti di Gaspara Stampa, poetessa del Cinquecento e figura importante nella tradizione letteraria italiana, sono principalmente liriche amorose e meritano d’essere approfonditi a dovere.
Chi è Gaspara Stampa
Gaspara Stampa è una cortigiana onesta attiva nell’ambiente veneziano cinquecentesco. A causa della sua professione viene erroneamente etichettata come una donna di facili costumi. Il primo critico a fare chiarezza sulla vita di Gaspara Stampa, andando oltre questi pregiudizi è una donna: Maria Bellonci. La Bellonci ha curato un’introduzione nell’ultima edizione delle Rime pubblicata per Rizzoli. È opportuno ricordare che per le autrici, che prima del Cinquecento potevano accedere alla cultura solo attraverso la vita monastica o grazie alla nascita in un contesto nobiliare notevole, adesso ciò è possibile anche attraverso l’attività di cortigianeria. Le cortigiane esercitano una vera e propria professione nella Venezia del Cinquecento. Esse hanno, soprattutto quelle di alto profilo, una funzione molto importante sia dal punto di vista sociale che politico: all’arrivo di re, ambasciatori o personaggi importanti nel panorama politico, venivano chiamate per fare “compagnia”, per animare culturalmente le serate dove erano accolti i visitatori illustri.
Tra le cortigiane più istruite nel corso del Cinquecento vi è appunto Gaspara Stampa. L’autrice nasce nel 1523 e muore nel 1554 consumata da una febbre. La vita di questa donna è una vita movimentata: insieme alla sorella Cassandra e al fratello Bartolomeo gode di molte virtù. Originari di Padova, non nascono da una famiglia nobile, ma da una famiglia ricca: il padre è un gioielliere che ha sposato una donna veneta. I tre fratelli vengono cresciuti nella stessa maniera: imparano il greco, il latino e tutte le principali materie di stampo umanistico che possano consentire loro di inserirsi nell’ambiente culturale veneto. Il padre muore quando Gaspara Stampa ha solo 7 anni; la madre vuole trasferirsi a Venezia (di cui è originaria) per poter continuare a gestire meglio l’educazione dei figli.
I tre fratelli Stampa vengono ammessi all’interno del salotto intellettuale più importante di Venezia: quello di Casa Venier. In questo salotto, Gaspara Stampa farà l’incontro con l’uomo del quale si innamora, fonte di ispirazione per le rime che scriverà. Bisogna tenere in considerazione l’importanza a cui arriva Gaspara Stampa: essere accolti nel salotto di Casa Venier e non essere nobili, vuol dire aver acquisito, da un punto di vista culturale, il diritto di essere considerati uguali ai nobili.
I sonetti di Gaspara Stampa
Il movente principale delle liriche della Stampa è l’incontro con il Conte Collaltino di Collalto. È un uomo nobile di cui si innamora con il quale non può unirsi in matrimonio perché lei non è nobile. La loro relazione è altalenante e dura circa tre anni ma lui non ama Gaspara come lei ama lui. Si tratta di un amore che evoca quello di Catullo per Lesbia.
I sonetti di Gaspara Stampa sono 311 e il canzoniere è stato stampato dalla sorella di Gaspara, Cassandra, dopo la sua morte. In questo canzoniere di 311 rime, soltanto 14 sono dedicate al secondo amore della vita di Gaspara, ma tutte le altre raccontano l’amore, che è il tema preponderante di questi versi, connesso esclusivamente alla vicenda di Collaltino di Collalto. Si tratta di un amore sin dall’inizio disperato, che ha tutte le caratteristiche per diventare struggente dal punto di vista letterario e che Gaspara costruisce secondo un processo di emulatio del modello di Petrarca. Finito questo amore per il conte Collaltino di Collalto, conosce, sempre nel salotto di Venier, Bartolomeo Zen: un intellettuale con il quale, diversamente che nella relazione con Collatino, evidentemente Gaspara ha molte cose in comune, anche dal punto di vista intellettuale. L’amore che racconta nei 14 componimenti che gli sono dedicati in questo grosso canzoniere è un amore molto diverso: capace di guidare, migliorare, illuminare.
Bisogna affermare che Gaspara Stampa scrive di un amore che si distacca dall’ideale romantico. Tratta di un amore che è molto fisico, concreto, reale. Attraverso i sonetti di Gaspara Stampa ci si trova di fronte ad un amore che viene cantato in tutte le sue forme, con una libertà, una sfrontatezza non presente al tempo, non solo nella poesia delle petrarchiste del Cinquecento, ma neanche nella poesia dei petrarchisti.
1) Voi ch’ascoltate in queste meste rime
Questo sonetto riprende il sonetto di Petrarca, il primo presente all’interno della raccolta Rerum Vulgarium Fragmenta. Il sonetto di Petrarca è il seguente:
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,
del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
In questo componimento, incipit poetico più importante della nostra tradizione, Petrarca si scusa per il proprio errore. Error, parola polisemica, utilizzata alla maniera latina per suggerire un senso più profondo: vagare senza una meta. Petrarca è in balia del suo errore più grande: l’amore. Il sentimento amoroso che nutre per Laura è una catena dalla quale non riesce a liberarsi. Inoltre, come si legge al primo verso, le rime vengono definite sparse. Questo avviene perché si tratta di frammenti sparsi di cose volgari. Ciò che non era scritto in latino assumeva una valenza minore per l’autore e i versi sono sparsi perché frammentata è la propria anima, alle prese con le fluctuationes dell’essere, in balia di un nodo indistruttibile che lo porta ad errare e di cui si pente, si scusa. Petrarca si vergogna perché ama, perché l’amore è concepito come un errore e chiede perdono per la sua condotta.
Gaspara Stampa, invece, nel suo sonetto ci dice:
Voi ch’ ascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra l’altre prime,
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de’ miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagione è sì sublime.
E spero ancor che debbia dir qualcuna:
Felicissima lei, da che sostenne
per si chiara cagion danno sì chiaro!
Deh, perché tant’amor, tanta fortuna
per si nobil signor a me non venne,
ch’anch’io andrei con tanta donna a paro?
Il sonetto comincia quasi facendo un calco completo del primo verso del sonetto petrarchesco. Al primo verso le rime sparse diventano rime meste e lo sono perché il sentimento che lei prova rispetto a questo suo canzoniere è un sentimento di dolore e tristezza che è cosa ben diversa dalla vergogna che invece chiama in causa Petrarca. Insiste sulla tristezza e sulla mestizia di queste rime, che vengono definite con un’anafora molto forte. Mestizia e oscurità: una notazione di carattere emotivo e una connotazione di carattere visivo. L’oscurità è dal punto di vista visivo l’esemplificazione della tristezza e dal punto di vista retorico si accomuna la tristezza al buio e la felicità alla luce. Inoltre, Petrarca non parla mai di valore dei suoi versi e non chiede di essere apprezzato o stimato. Gaspara Stampa, invece, chiede al suo pubblico, valor e stime.
I sonetti di Gaspara Stampa, come si evince da questo primo, raccontano delle pene d’amore e l’autrice chiede al suo pubblico non di perdonarla, perché lei non considera l’amore un errore, ma chiede di apprezzare il valore delle sue rime e di essere stimata per aver avuto il coraggio di scriverle e lei dice esplicitamente di non voler perdono ma gloria. Lei spera di poter trovare tra le ben nate genti, i suoi ascoltatori; quindi, lei sta chiamando in causa i nobili, come nobile è il conte di cui è innamorata perdutamente. Da notare come questo sonetto, che comincia con un calco quasi lessicale di quello di Petrarca, se ne discosta completamente.
2) Per un nuovo amore
Amor m’ha fatto tal ch’io vivo in foco,
qual nova salamandra al mondo, e quale
l’altro di lei non men stranio animale,
che vive e spira nel medesmo loco.
Le mie delizie son tutte e ’l mio gioco
viver ardendo e non sentire il male,
e non curar ch’ei che m’induce a tale
abbia di me pietá molto né poco.
A pena era anche estinto il primo ardore,
che accese l’altro Amore, a quel ch’io sento
fin qui per prova, piú vivo e maggiore.
Ed io d’arder amando non mi pento,
pur che chi m’ha di novo tolto il core
resti de l’arder mio pago e contento.
Questo sonetto è un componimento di passaggio, perché lei ha smesso di amare il primo amore e nel giro di meno di un anno si innamora del suo secondo amore. Questo sonetto ci dice che il suo modo d’amare non è legato alla persona amata ma afferma che lei sa vivere solo così: è connaturata a questo modo di amare. Lei sta rivendicando l’amore che si affranca da qualsiasi significato morale o epico.
L’amore ora non è qualcosa che rende migliori: è quasi una malattia della quale lei non sa fare a meno. Lei è la prima autrice che non lega l’amore ad una figura maschile.
Gaspara Stampa rivendica la libertà d’amare a prescindere dall’uomo perché è innamorata dell’amore. La sua unica maniera d’amare, è vivendo in foco, ardendo senza pentirsi.
Fonte immagine di copertina: Wikipedia