L’enoteismo indica un tipo di religiosità a metà tra il politeismo e il monoteismo. Questo concetto è stato coniato da Max Muller, storico delle religioni e linguista tedesco vissuto tra il 1823 e il 1900. La parola deriva dal tedesco “henotheismus” ed è composta dal greco “heis” e “theos”, rispettivamente “uno” e “dio”. Da molti interpretato come monoteismo imperfetto, l’enoteismo vede il ruolo di una divinità come centrale e ne primeggia il culto rispetto ad altre. La venerazione di un dio, però, non esclude la presenza di altre divinità, ma esse non godono della stessa importanza. Sappiamo che il monoteismo è quell’atteggiamento di chi adora una divinità unica, l’enoteismo ne adora una, ma non per questo è unica.
Esempi di enoteismo si trovano nell’induismo, nel paganesimo, negli antichi culti misterici, nelle religioni egizie e arabe.
Parlando di paganesimo dell’età tardo-antica, sappiamo dell’esistenza di all’incirca undici divinità, ognuna di loro provvista di templi e cerimonie di culto, ma l’importanza che si attribuiva all’una o all’altra era diversa. Ad esempio, Zeus (Giove nella mitologia romana) primeggiava sugli altri, in quanto considerato il padre e re di tutti gli dei dell’Olimpo. Venerare lui era certamente più importante e significativo di venerare dei come Ares o Afrodite, suoi figli.
I lontani culti misterici si diffusero in tutto il mondo antico greco e mediorientale e successivamente anche in epoca romana. Si tratta di culti a carattere esoterico, accessibili solo a pochi prescelti, che dovevano affrontare una sorta di iniziazione, prima di entrare a far parte del culto, normalmente tenuto segreto. I principali culti misterici greco-latini furono quelli rivolti alla natura e all’agricoltura, altri della mitologia egizia con Iside e Osiride (dea della magia e dio della morte) e altri ancora, in Asia minore, con la Grande Madre. Quest’ultima rappresenta la massima autorità del femminile, saggezza ed elevatezza spirituale, che favorisce la crescita in tutte le sue forme.
Interessante come, per moltissimo tempo, l’umanità, a partire dal Paleolitico avesse fatto ricorso ad una divinità unica, femmina, e successivamente dal 3.000 a.C. nell’immaginario collettivo, la divinità principale ha assunto connotazioni maschili.
Anche l’induismo è, come sopracitato, un classico esempio di enoteismo. Ma la sua comprensione non è di facile lettura. Sappiamo che gli induisti adorano un unico dio, ma riconoscono l’esistenza di altre divinità, che possono essere altrettanto venerate. Erroneamente si potrebbe pensare che l’induismo sia una religione monoteista, in quanto gli induisti venerano un’unica divinità, il Brahman, che però assume forme diverse. Tutte queste entità non sono altro che manifestazioni del Brahman. Dunque, esiste un dio che primeggia sugli altri, e dal quale ne derivano altre ad esso sempre affini.
Molti studiosi hanno affermato che anche gli Israeliti sono stati enoteisti. Questo appare chiaro facendo riferimento alle Sacre Scritture, che parlano del Signore come del più potente Dio rispetto ad altri. Inoltre, in più passi sono menzionati episodi in cui gli israeliti cadevano in tentazione e veneravano altri dei, disubbidendo a Dio.
L’enoteismo, sappiamo, è un atteggiamento in netto contrasto con gli insegnamenti della Bibbia. Non c‘è un dio al di sopra degli altri dei, ma uno e uno soltanto.
L’enoteismo è molto simile alla monolatria, della quale si conosce molto meno. Nell’esperienza comune è più facile conoscere una dicotomia di religioni, chi venera molti e chi venera il singolo, ma la verità è che c’è molto più di questo. La monolatria si definisce come un enoteismo prolungato, ed esclude a prescindere che le altre divinità, secondarie alla più importante, possano essere oggetto di culto. La monolatria ha messo le basi su cui si fonda oggi il monoteismo, a differenza dell’enoteismo che ha visto tempi di diffusione ben più brevi, seppur radicati. Per ordine, l’enoteismo ha dato forma alla monolatria, che è infine sfociata nel monoteismo.
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