Il papiro di Artemidoro, a lungo considerato un documento storico di inestimabile valore, è stato definitivamente dichiarato falso, dopo anni di scrupolose indagini. Il reperto è stato oggetto di un crescendo di posizioni contrastanti tra i fautori o meno della sua autenticità, finché la Procura di Torino ne ha stabilito la falsità nei confronti di Serop Simonian, mercante d’arte di origine armena, che nel 2004 riuscì a venderlo per un corrispettivo di 2 milioni e 750 mila euro alla Fondazione per l’Arte della Compagnia San Paolo, spacciandolo per un prezioso documento storico del I secolo a.C. Tuttavia, pur trattandosi di una truffa aggravata per i magistrati torinesi, essa resterà impunita: «Il procedimento penale – ha dichiarato in una nota stampa Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino – si è concluso con un’archiviazione delle accuse per intervenuta prescrizione e per questo motivo è stato ritenuto inutile disporre una consulenza tecnica, tanto più che i costi di questa non potrebbero essere giustificati».
Il reperto è stato comprovato quale falso sulla base di numerose verifiche
In primo luogo, l’indagine era stata avviata, mediante un esposto presentato alla procura di Torino nell’ottobre 2013, dal più noto assertore della falsità del Papiro di Artemidoro, ovvero il filologo classico, storico e saggista italiano Luciano Canfora, che riteneva il papiro opera di Costantino Simonidis, un falsario greco attivo nell’Ottocento e avvezzo a ricostruire, sulla base di frammenti, falsi di documenti dell’antichità greca. Attraverso svariate prove a conferma della sua tesi – ovvero gli interessi geografici di Simonidis, le numerose convergenze linguistiche fra il testo del papiro e vari scritti di Simonidis e una sorta di autoidentificazione di Simonidis con Artemidoro, in una sua autobiografia fittizia – lo studioso italiano sollevò una polemica molto accesa con quanti, al contrario, valutavano autentico il papiro, tra i quali il noto archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis che, sulla base di indagini fisico-chimiche, paleografiche e bibliologiche, aveva datato il papiro intorno al I secolo d.C.
Tuttavia, la salda convinzione circa la falsità del papiro aveva già spinto l’ex direttrice del Museo Egizio di Torino, Eleni Vassilika, a rifiutarsi di esporre il reperto allorquando la Fondazione lo aveva affidato in comodato d’uso gratuito al prestigioso Museo torinese; inoltre, recentemente un intervento del filologo inglese Richard Janko ha messo in luce significative identità stilistiche fra i disegni realizzati da Simonidis e quelli presenti sul papiro, ad ulteriore conferma dei gravi indizi di inautenticità del reperto. Pertanto, le attuali indagini hanno validato i sospetti riguardanti il più scottante caso di falsificazione degli ultimi decenni.
Il testo del papiro, oggi dichiarato falso, si riteneva riproducesse un’opera di Artemidoro di Efeso
L’opera si compone di frammenti di varie dimensioni, per una lunghezza di circa 2,5 metri e un’altezza di 32,5 centimetri. Il testo greco vergato sul reperto è stato attribuito ad Artemidoro, geografo efesino di II-I sec. a.C., perché un suo frammento ci era giunto per tradizione indiretta in una citazione di Costantino Porfirogenito, imperatore bizantino di X secolo, nel suo De administrando imperio: il papiro, infatti, contiene un testo geografico, con informazioni sulla divisione amministrativa, un periplo della Spagna e una carta geografica presumibilmente raffigurante la regione Betica; sono presenti, inoltre, numerosi disegni di parti anatomiche sul recto e animali, reali o fantastici, sul verso, verosimilmente schizzi e bozzetti di statue per pittori di bottega che intendessero mostrare anticipatamente ai propri committenti i motivi iconografici da realizzare. Stando alle analisi con il Carbonio 14, il supporto papiraceo risalirebbe a un periodo compreso tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., nell’Egitto greco-romano.
Intorno alla fine degli anni Novanta cominciò a circolare tra gli studiosi la notizia dell’esistenza di questo straordinario reperto, conservato da un collezionista armeno, che lo avrebbe salvato durante lo smontaggio del cartonnage di una maschera funeraria egizia. Tuttavia, il testo di Artemidoro sorprendentemente presuppone già le modifiche che il filologo August Meineke aveva apportato nella sua editio princeps del 1849 al testo tradito dal codice Parigino greco 2009, redatto nell’XI secolo. Ecco, dunque, il sospetto che nella vicenda di questo papiro si sia insinuato il calligrafo greco Simonidis, celebre autore di molti falsi con cui tentò, a volte riuscendoci, di ingannare studiosi di tutta Europa: un sospetto oggi definitivamente acclarato dai rilievi scientifici, che hanno permesso di stabilire che «la composizione degli inchiostri appare decisamente diversa da quelli usati nei papiri egiziani del periodo dal I al VI secolo». Termina, così, la discussa storia del papiro dalle “tre vite”.
[Foto tratta da https://wsimag.com/it]