Francesca Woodman, fotografa americana dello scorso secolo, ha anticipato la “mania” dell’autoritratto, riportando nei suoi scatti sinceri il suo corpo e il suo modo di stare al mondo.
«Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate».
Lapidario e risoluto il pensiero di Francesca Woodman, determinata a inseguire a tutti i costi la volontà di preservare le cose delicate e belle – poche – che aveva conosciuto o creato. Devono essere state queste le ultime parole che hanno attraversato la sua mente, quando a 22 anni ha deciso di mettere un punto al suo stare, fisicamente, al mondo. Ma di lei, del suo essere corporeo, artistico, ideologico, la fotografa Woodman ci ha lasciato un’impronta inconfondibile e amabile negli scatti in bianco e nero e nelle lettere scritte a mano.
Gli scatti di Francesca Woodman
Delicata, come la calla che, accanto a lei, è appoggiata a una parete sporca, in una disposizione speculare che le fa sembrare l’una il riflesso dell’altra. La purezza forse le accomuna. Al di là del simbolismo, la Woodman cerca tra sé e il mondo una certa coincidenza nelle forme oltre che nell’essenza. Il suo corpo è piegato ai contorni della natura e dei luoghi, ai tratteggi di quello che le sta intorno, è pura materia prima di essere idea, pura immanenza prima di farsi trascendenza.
“Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?”
Sono le parole con cui Alda Merini si rivolge al suo corpo, contenitore della sua anima. “Ludibrio grigio”. È questo il corpo nelle immagini di Francesca Woodman, senza alcuna ombra di sessualizzazione, un elemento sfocato, dinamico, giovane, ma estraneo a se stesso, quasi dovesse ancora capire il suo posto nel mondo.
E quindi si sporge, sinuoso, mentre avanza a quattro zampe, per guardarsi allo specchio in una delle fotografie più famose dell’artista americana e poi si piega, seguendo le curve viscide delle anguille disposte in una ciotola, delle quali imita il movimento; in una fotografia è un corpo tanto pesante da lasciare un’impronta scura sul pavimento e in un’altra è tanto leggero da levarsi da terra fino a toccare con i capelli il soffitto. A volte, protagonista su un fondo di pareti incrostate, altre volte macchia inconsistente e marginale, quasi senza peso.
L’acconciatura sul suo capo appoggiato a un tavolo segue le linee barocche di una conchiglia.
Dietro alle fotografie
In un’epoca ante selfiem, Francesca Woodman mette se stessa al centro di ogni foto e attraverso il bianco e nero si osserva e si racconta. Ogni sua espressione sembra l’espressione di chi non si riconosce se non come parte di un tutto che non ha ancora compreso. Una parte discreta, a tratti fantasmatica che forse vorrebbe essere un tutto tanto da desiderare poi di diventare un nulla.
“Illustrare fisicamente metafore letterarie e fare metafore fisiche per idee morali” era l’intenzione iniziale della Woodman. Successivamente, si legge in una pagina di diario, volle tornare alla sua teoria originale “[…]la cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.”
Francesca Woodman: vita e fortuna
Nata nel 1958 a Denver, in Colorado, Francesca Woodman fece della fotografia la sua voce sin dall’età di tredici anni, quando si ritrasse per la prima volta. Italiana di adozione, dopo lunghi periodi di vacanza trascorsi in Italia si trasferì a Roma dove frequentò la Rhode Island School of Design di Piazza Cenci. A Roma visitava spesso la libreria Maldoror di Via Reginella, all’epoca specializzata in avanguardie. E lei, appassionata di surrealismo, consegnò proprio al comproprietario di quella libreria, Giuseppe Casetti, una cassetta grigia piena di fotografie, ancora inedite e sconosciute. Casetti in quel momento si accorse di aver trovato un’artista degna di questo nome. Quella scatola grigia è diventata un catalogo e poi una mostra, la prima, proprio nella Maldoror.
La carriera di Francesca Woodman proseguì poi a New York, ma il suo processo creativo fu stroncato dalla volontà di difendere la delicatezza della sua vita dalla tirannia del tempo. Dalla finestra dello studio in cui lavorava è volata tutta la sua arte. A 22 anni. Qualcuno, come il suo Giuseppe Casetti, ha afferrato i frammenti volanti dei suoi scatti e delle sue parole, facendone volumi, mostre, cataloghi.
“Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza”. Osservare per credere.
Immagine in evidenza: Wikipedia