Il giapponismo fu un importante moda che attraversò l’Europa nel XIX secolo, influenzandone la società, il costume e, soprattutto, l’arte.
Intorno al XIX secolo l’Europa subì il fascino del Giappone; una terra da poco apertasi ai rapporti con l’occidente dopo due secoli di volontario isolazionismo, da sempre descritta con elementi fiabeschi che stimolavano l’immaginario di artisti soffocati dalle sbarre dei limiti culturali del mondo europeo. Non passò molto tempo prima che quell’amore verso il “sol levante” si traducesse in una moda che investì il mondo dell’arte e quello del costume: il giapponismo.
Le origini del giapponismo
Come si è accennato poc’anzi, agli inizi del ‘600 il Giappone si isolò dal resto del mondo chiudendo i propri confini e i propri porti ai paesi stranieri. Faceva eccezione l’Olanda, che aveva stabilito rapporti commerciali con l’impero giapponese.
Questo lungo periodo finì nel 1853 quando le navi americane del commodoro Matthew Perry giunsero presso le coste del paese, costringendo l’imperatore a riaprire le frontiere e a stipulare accordi commerciali con l’occidente.
Fu così che in Europa giunsero manufatti provenienti da quelle terre, messi in bella mostra durante le esposizioni universali: kimoni, ventagli, oggetti in ceramica e porcellana, vasi e, soprattutto, gli ukiyo-e (letteralmente: “immagini del mondo fluttuante”), stampe su carta impresse sul legno che venivano realizzate a partire dal XVII secolo e che, in parte, già erano giunte in occidente grazie agli olandesi.
I maggiori incisori di ukiyo-e furono Utamaro, specializzato in soggetti femminili e scene erotiche e Hokusai e Hiroshige, autori di intense composizioni paesaggistiche come La Grande Onda del primo, divenuta talmente celebre da essere ancora oggi stampata su borse, quaderni, tazze e altri oggetti di uso quotidiano.
Quello che però affascinava era la loro composizione, diversa dai canoni rigidi dell’arte occidentale. Le figure venivano disegnate con una linea curva che conferiva loro bidimensionalità, non presentavano ombre e i colori erano piatti, ben diversi dalle pennellate corpose a cui gli artisti occidentali erano abituati. Inoltre, la prospettiva era assente, dando l’impressione di figure più disegnate che dipinte.
Ma l’elemento più importante è la composizione dell’opera: Il soggetto, non più al centro, poteva essere spostato verso altre direzioni, se non addirittura tagliato. Gli incisori lasciavano molti spazi vuoti nelle loro opere, spesso riempiti con scritte in caratteri kanji (l’alfabeto giapponese).
Le ispirazioni degli impressionisti
I pittori francesi furono quelli maggiormente influenzati dal giapponismo e fu proprio uno di loro, l’incisore Philippe Burty, a coniare il termine Japonisme.
La borghesia francese iniziò a collezionare cimeli giapponesi (le donne, in particolare, amavano indossare il kimono e sventolare i ventagli), artisti e intellettuali visitarono quella terra e nacquero riviste sull’estetica nipponica come Le Japon Artistique, fondata nel 1889 dal mercante e critico Samuel Bing.
Gli impressionisti francesi erano stimolati da quest’atmosfera e iniziarono a inserire elementi giapponesi nei loro dipinti, come Manet nel Ritratto di Émile Zola: sul muro della stanza dello scrittore troviamo esposte alcune stampe, tra cui un ukiyo-e raffigurante un samurai.
Ad assorbire pienamente la lezione del giapponismo fu però Monet. Nel 1876 il pittore ritrae la moglie Camille vestita con un kimono rosso di seta, su cui sono ricamate delle foglie. Il pittore conferisce alla veste un senso di movimento come si vede nella caricatura del samurai in basso, che sembra prendere vita. Sullo sfondo si stagliano dei ventagli con varie decorazioni e la stessa Camille, che osserva il marito con sguardo amicante, ne brandisce uno in mano.
Molto interessante è anche l’influenza che le stampe giapponesi ebbero su uno dei suoi più famosi dipinti, la Ragazza con il parasole girata verso sinistra (1886): il viso della protagonista, immersa in un prato in una giornata di vento come suggerito dalle pennellate rapide sull’erba, sembra indecifrabile o addirittura nascosto. Monet si richiama a una stampa di Hiroshige, Ombrello nella neve, dove una geisha viene ritratta di spalle e con il volto nascosto e condividendo, con la ragazza del pittore francese, la stessa posa.
Il giapponismo contagiò anche Edgar Degas, pittore fondamentale per il passaggio dall’impressionismo al realismo. L’influenza delle figure femminili di Utamaro fu molto importante per i soggetti delle sue opere, le donne. Come per l’incisore giapponese, anche il pittore francese si concentrava nel ritrarre i soggetti femminili catturati in momenti di quotidianità. La posa della Donna che si pettina (1887) è per certi versi a simile quella della figura di una stampa di Utamaro, Bellezza alla toiletta: entrambi i soggetti mantengono i propri capelli e il pittore parigino dipinge “alla giapponese”, lasciando alcuni spazi vuoti sullo sfondo. Una risposta secca alla rigidità dei canoni occidentali, che non tolleravano la libertà di movimento dei soggetti.
Van Gogh, Gauguin e l’arte giapponese
Il giapponismo si diffuse, come è facile immaginare, anche in Olanda. Tra tutti i pittori Van Gogh fu quello che ne risentì più di tutti l’influenza e lo dimostra nel Ritratto di Père Tanguy (1887), dove il commerciante di colori, amico suo e di importanti pittori, viene ritratto sullo sfondo di alcuni ukiyo-e riprodotti dallo stesso Van Gogh, il quale ne aveva una considerevole collezione.
Tra le stampe preferite dal pittore olandese c’era Il ponte sotto la pioggia di Hiroshige, oggetto di un omaggio nel 1887. Nell’originale l’acqua su cui sovrasta il ponte è una tavola piatta e azzurra che diventa scura avvicinandosi al fondo, mentre la pioggia che cade sui passanti viene resa da linee verticali. Van Gogh si prende qualche piccola libertà attraverso l’uso di pennellate forti e corpose che rendono le acque verdi del mare agitate e la pioggia che cade molto più violenta. A chiudere il tutto una cornice su cui Van Gogh disegna alcuni kanji; non hanno alcun significato e il pittore li inserisce solo come ornamento.
Nemmeno un pittore dal gusto esotico come Gauguin poteva restare indifferente al fascino dell’oriente. Come Van Gogh, con cui un ebbe un infelice sodalizio artistico, anche lui collezionava stampe giapponesi che si rivelano fondamentali per molte sue opere come l’onirica Visione dopo il sermone.
Il dipinto ritrae alcune donne bretoni con gli occhi chiusi che immaginano di assistere all’episodio della rissa tra Giacobbe e un angelo, narrato nella Genesi. Gauguin riesce a far convivere e, allo stesso tempo, suddividere il piano del reale da quello immaginario attraverso espedienti come il ramo d’albero che divide le donne dai due contendenti, ma anche lo sfondo rosso che richiama alla dimensione fantastica. L’influenza delle stampe giapponesi si risente nei contorni neri delle figure e nella posizione di Giacobbe e dell’angelo, simile a quella dei lottatori di sumo.
Il giapponismo e l’Art nouveau: Mucha e Toulouse-Lautrec
La moda del giapponismo fu importante anche per lo sviluppo dell’Art Nouveau (conosciuto anche come Stile Liberty) a inizio ‘900. Le forme organiche, le linee curve, i motivi floreali e l’attenzione verso la donna tipico delle stampe orientali furono sfruttate da nuovi artisti che veicolarono una nuova tipologia di arte, lussuosa e raffinata, che anticipa la grafica pubblicitaria.
I maggiori artisti furono Alphonse Mucha ed Henri de-Tolouse-Lautrec, noti per i loro manifesti. Il primo, nato a Praga, si distinse per le figure femminili eleganti e sinuose, ricche di colore e decisamente marcate e bidimensionali. Le donne dei suoi manifesti, asimmetriche e ricche di dettagli fanno pensare subito a quelle delle stampe orientali e ancora oggi sono d’ispirazione per molti disegnatori contemporanei.
L’influenza del giapponismo su Tolouse-Lautrec è invece diversa, come si vede nel manifesto per il Divan Japonais (1892-3), un locale di Parigi aperto nel 1883. L’artista di Albi disegna le sue figure, un uomo e una donna, con grande attenzione per i contorni mentre lo sfondo è asimmetrico e diagonale. Interessante è anche l’uso delle scritte per pubblicizzare il locale, che richiama alle scritte degli ukiyo-e.
Riepilogando, in breve
Immagine di copertina: Pixabay