Giovan Lorenzo Bernini fu uno scultore, architetto e pittore italiano. Egli è considerato il maestro dell’arte barocca del 600. Attraverso le sue opere, infatti, egli creò un’arte “irregolare” e “strana”, come suggerisce la parola stessa “barrueco”, o meglio: egli fu il creatore di un’arte dinamica, mai vista prima.
La vita di Giovan Lorenzo Bernini
Giovan Lorenzo Bernini nacque nel 1598 a Napoli. Fu in questa città che iniziò ad interessarsi alla scultura, anche grazie al padre, Pietro Bernini, che fu uno scultore del tardo manierismo. Bernini si formò a Roma, dove si trasferì con la famiglia nel 1606 e dove il padre gli impartì diversi insegnamenti riguardo la scultura. In particolare, Pietro Bernini si stava occupando della Cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore, commissionata da papa Paolo V per costruire la propria dimora funebre. Fu anche l’architetto Flaminio Ponzio che permise a Giovan Lorenzo Bernini di capire che il lavoro di squadra tra scultori, architetti e pittori è necessario nel lavoro di un cantiere.
Le opere
Tra le opere giovanili che realizzò con suo padre, vi sono: “Priapo e Flora di Villa Borghese”, “Fauno che scherza con i due amorini” e la decorazione della Cappella Barberini in Sant’Andrea della Valle.
Tra le opere che, invece, realizzò autonomamente, vi è: “San Lorenzo sulla graticola”, scultura marmorea risalente al 1614 circa, conservata oggi agli Uffizi di Firenze. L’opera raffigura il martirio di Lorenzo, sdraiato su una graticola di fuoco, con lo sguardo verso Dio.
Un’altra opera fu “San Sebastiano”, di cui non si ha una data precisa di realizzazione, ma probabilmente fu realizzata nel 1617, per inserirla nella Cappella di San Sebastiano. Con quest’opera Bernini si distacca dallo stile barocco tardo-manierista del padre, per poter inseguire il proprio. Il corpo che “si lascia cadere” ricorda “La pietà” di Michelangelo, a cui Bernini si ispirava. Il suo primo committente fu il cardinale Barberini, che gli commissionò dei lavori su una delle Pietà lasciate incompiute da Michelangelo.
Successivamente, tra il 1618 e il 1619, Bernini realizzò “Enea, Anchise e Ascanio”, conservato nella Galleria Borghese di Roma. La scultura rappresenta la fuga di Enea, Anchise e Ascanio da Troia distrutta, raccontata nel secondo libro dell’Eneide di Virgilio. Sulle spalle di Enea vi è il padre anziano Anchise, con le gambe paralizzate, che ha in mano il vaso con le ceneri degli antenati. Ascanio, figlio di Enea, li segue, con in mano l’eterno fuoco che porterà Roma ad una nuova vita.
Nel 1621-1622 Bernini realizzò l’opera “Ratto di Proserpina”, su commissione del cardinale Borghese. L’opera raffigura Plutone che afferra violentemente Proserpina per portarla negli inferi. Proserpina, cercando di sottrarsi dalla presa di Plutone, spinge la mano sinistra sul suo volto. Plutone, invece, per cercare di non farla scappare, affonda le sue dita nella gamba e nel fianco della donna. In particolare, Bernini ha realizzato molto verosimilmente le mani di Plutone che affondano nella pelle morbida di Proserpina. Ai piedi di Plutone vi è il suo cane a 3 teste, Cerbero, guardiano degli inferi.
Al 1623-1624 risale un’altra opera di Bernini: il “David”. Essa raffigura il David mentre sta per lanciare il sasso contro Golia. Molti dettagli dell’opera suggeriscono la sua concentrazione in quel momento cruciale dello scontro: il suo volto è corrucciato, le labbra serrate, le braccia sono contratte sulla fionda, lo sguardo è teso. Come le altre opere di Bernini, anche questa rappresenta a pieno il dinamismo proprio dell’arte barocca.
Tra il 1622 e il 1625 Bernini realizzò “Apollo e Dafne”, anch’essa su commissione del cardinale Borghese.
L’opera rappresenta Apollo, nell’instante in cui finisce la sua corsa e raggiunge Dafne, sfiorandola con la mano sinistra, forse per darle un abbraccio. I muscoli di Apollo sono tesi per lo sforzo e il piede destro sostiene il peso del suo corpo, invece la gamba sinistra è alzata. Il mantello, che sta per cadere, è gonfiato dal vento e i suoi capelli sono mossi all’indietro a causa della corsa. Il suo sguardo esprime delusione.
Dafne, per sottrarsi ad Apollo, risulta nuda col busto in avanti. Alcune parti del suo corpo, però, hanno già subito la metamorfosi; ad esempio, il piede sinistro è diventato radice, il suo corpo è circondato da corteccia e le sue mani sono diventate ramoscelli d’alloro. Il suo volto rivela sia la paura per Apollo che l’ha raggiunta, ma anche conforto perché riuscirà a preservare la sua castità attraverso la metamorfosi.
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