L’apparente ridondanza di un termine come “yomihon” (読本), letteralmente “libro da leggere”, è giustificata dal peculiare assetto dell’offerta letteraria del Giappone di epoca Tokugawa. Essa è rintracciabile nella contrapposizione con un altro genere, al di più ibrido, ma particolarmente fecondo al tempo: quello degli “ehon” (絵本). Essi hanno dato il via ad una tradizione che vede unita, in una comunione irriverente, parte scritta e figurativa. In realtà, tale pratica affonda le sue radici in tempi ben più antichi della definizione di “letteratura”, ancor di più che di “genere letterario”. Possiamo rintracciare la prima testimonianza di tale fortunato connubio negli “etoki” (絵 解 き), racconti didattici di stampo buddhista, in cui l’immagine fungeva da mezzo di espressione preferenziale perché più immediata e comprensibile. Da qui, è facile desumere quale importanza assuma la raffigurazione, la quale non poteva dirsi mai ancillare al testo.
Differenza tra ehon e yomihon
Pertanto, la differenza fondamentale tra ehon e yomihon sta nel fatto che i cosiddetti “libri da leggere” sono testi in cui predomina l’elemento narrativo su quello figurativo. Ma non è l’unica caratteristica innovativa. I protagonisti non sono più i chōnin (町人), la nuova classe mercantile che acquisisce potere economico, sì, ma non politico e sociale, né può dirsi che l’ambientazione prediletta sia quella dei quartieri di piacere delle grandi case di Yoshiwara ( 吉原) ad Edo e Shinmachi (新町) ad Osaka, ad esempio. Con gli yomihon assistiamo ad una codificazione tanto nella forma, quanto nel genere. Parliamo, infatti, di storie fantastiche e lontane nel tempo, racconti storici ispirati all’epoca classica, a differenza degli ukiyo-zōshi (浮世草子, “i racconti del mondo fluttuante“) – per citare la categoria letteraria che si oppone dicotomicamente allo yomihon, in epoca pre-moderna – i quali prendono spunto da fatti di cronaca contemporanea.
Celebri esponenti del genere
Tra i più grandi scrittori di yomihon sono da citare: Tsuga Teishō (都 賀 庭 鐘 ), Ueda Akinari (上田秋成), Takebe Ayatari (建部綾足) e Kyokutei Bakin (曲亭 馬琴), quest’ultimo autore del romanzo più lungo della storia, “Nansō satomi hakkenden” (“La storia degli otto cani dei Satomi di Nansō), la cui stesura si prolungò per circa ventotto anni.
Tsuga Teishō fu discepolo della scuola fondata da Ogyū Sorai (荻 生 徂 徕), filosofo di formazione confuciana, che diede rilevanza allo studio del cinese parlato. Nel 1749 pubblica “Hanabusa Zōshi” (英草紙), una raccolta di nove storie, in cui risulta chiara la ripresa dalle tre più famose storie di fantasmi di epoca Ming. La vera maestria di Teishō, però, fu quella di riadattare tali racconti al contesto giapponese di età Kamakura e Muromachi, con tutti elementi tipici che le contraddistinguono. La caratterizzante ambientazione in tempi passati, frequentemente adoperata, è utilizzata anche come un espediente narrativo per eludere la censura dello shogunato Tokugawa. Quest’opera è stata nominata da alcuni intellettuali, tra cui Ōta Nanpo (大田 南畝), poeta e scrittore contemporaneo di Teishō, come «l’antenato degli yomihon». Bakin, dal canto suo, designa Takebe Ayatari e la sua opera “Nishiyama Monogatari” (西山物語, “Racconto delle colline occidentali“) del 1768 come “l’antenato degli yomihon di Edo”, se non espressamente nei temi, quanto nello stile. Da ex samurai, Ayatari permea lo scritto dell’ideale Bushidō (武士道, il ferreo codice comportamentale samuraico), con uno stile ricco di eleganza ed arcaismi propri della prosa Heian.
Si dice che Ueda Akinari abbia studiato medicina con Tsuga Teishō durante gli anni che hanno preceduto la stesura di “Ugetsu monogatari” (雨月物語, “Racconti di Pioggia e di Luna“), dove la pioggia e la luna rappresentano quegli elementi naturali da sempre associati al soprannaturale. A differenza del collega, in Akinari non è rintracciabile una forte influenza confuciana né l’impulso cinese nel vocabolario. Nei contenuti, invece, la sua raccolta di nove brevi storie evidenzia l’influenza della narrativa Ming in vernacolo e, più nello specifico, dello Shuihuzhuan (水滸傳, letteralmente traducibile con “Sul bordo dell’acqua“, ma in italiano adattato con il titolo “I Briganti“). Questo romanzo divenne molto popolare tanto da ispirare diverse opere, al di là di quelle di Akinari. Ma nei Racconti di Pioggia e di Luna, le spinte non arrivano solo dallo Shuihuzhuan. Il fatto che egli abbia utilizzato il termine “monogatari” per denominare la sua opera non deve apparire una coincidenza. La riscoperta del patrimonio classico e della riconoscenza verso i grandi lavori di epoca Heian sono evidenti. Non a caso, in prefazione, lo scrittore richiama in prima battuta sia lo Shuihuzhuan che il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu. Anche Ueda Akinari ambienta le proprie storie nel periodo classico giapponese. All’interno di tale contesto storico, l’inserimento di eventi soprannaturali e fantastici evidenzia la contrapposizione tra storia e fantasia, in una composizione che non manca mai di originalità, che non si limita ad attingere dall’universo cinese, ma che mira a diventare summa del folklore e dei valori tipicamente giapponesi.
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