Guido Giannini fotografo autodidatta ci ha dato la possibilità di vedere le proprie foto esposte in molte mostre con altrettante pubblicazioni, insignito del flauto d’argento Werner Bischof nello scorso settembre, citato da molti paragonandolo ai grandi fotografi dello scorso secolo, ha regalato il tempo di un caffè ad Eroica Fenice per raccontarsi donandoci la saggezza che solo un anarchico che fa click possiede.
L’immagine è l’alfabeto degli analfabeti, ognuno può comprenderla.
(Sistemo lo smartphone con l’app per registrare la nostra conversazione, siamo pronti ed espongo subito il mio primo quesito all’amico Guido Giannini).
Da quanto tempo sei un fotografo?
Non ho mai lavorato esclusivamente come fotografo, ho iniziato a scattare grazie ad un regalo ricevuto da un mio zio, un’agfa a soffietto 6×9, mi aspettavo una Leica. Iniziai così senza nessuna pretesa, inoltre non ho mai cercato nulla, non pretendevo chissà quali risultati.
Iniziai a lavorare in un’agenzia dei pegni e abbandonai l’Agfa a distanza di anni per una Rolleyflex, ma anche allora non avevo alcun obiettivo, giravo con la macchina al collo sempre con la sola voglia di scattare qualche foto.
Dai tuoi racconti si capisce che non hai mai chiesto nulla, come mai hai voluto sempre poter avere un contatto diretto con chi avrebbe acquistato i tuoi scatti?
Preferisco avere il diretto rapporto con le testate perché non concepisco le agenzie come intermediario.
Un giorno lessi che Calogero Cascio portò al direttore del Mondo delle fotografie. Mi decisi, presi alcune foto, ne feci un pacchetto, e le inviai a Mario Pannunzio, senza presentarle in un book, cosa che invece mi fu consigliata ma non m’importava nulla. Dalla segreteria del settimanale mi giunse la comunicazione che furono acquistati alcuni miei scatti.
“Era il 19 dicembre 1961 quando acquistando Il Mondo di Pannunzio vi trovai una mia fotografia, la famosa Violinista di Guido Giannini”
Guido Giannini da giocattolaio a fotografo perchè non volle essere un semplice amatore della domenica.
Nel 1976 aprii un negozio di giocattoli educativi al Vomero, dopo sbagliati investimenti e senza risorse economiche cambiai lavoro per divenire guardiano notturno, collaborai con le prime foto a “La voce della Campania” che al tempo ebbe come direttore dapprima Matteo Cosenza al quale subentrò subito dopo Michele Santoro.
Non riuscivo a sostenermi con i guadagni da fotografo per La voce della Campania per il quale ero anche un correttore di bozze, presi contatti per altre realtà come CGL Informa per il quale impaginavo e scattavo fotografie. Iniziai a farmi conoscere anche nelle altre redazioni come l’Unità, il Messaggero ed il Manifesto.
Intrapresi lunghi viaggi in treno con un pacchetto di foto formato 18×24 cm sempre sottobraccio, sempre pronte per farle visionare.
Con insistenza finalmente iniziai a vendere i miei scatti, ben venti furono pubblicate sul Manifesto, delle quali esiste una mia pubblicazione dal titolo IL MANIFESTO Venti Foto con la prefazione di Goffredo Fofi , così come le Dieci foto per Il Mondo con la prefazione di Ermanno Rea che fu prima che autore anch’egli fotografo per il settimanale politico.
Finalmente il cameriere del bar s’accorge che l’aspettavamo, vi mando qualcosa Maestro? So che Guido Giannini non ama esser chiamato così, in passato lo feci infuriare per questo.
Non sopporto che mi chiamano maestro! A tutti l’ho detto ‘nu sacco ‘e vote! Lo rifiuto! Sono il decano dei fotografi napoletani, il più anziano, sono rimasto ancora all’argento perchè ho profondo rifiuto nei confronti del digitale. Fotografando con l’analogico l’immagine è definitiva, senza elaborazioni, non è sofisticata. Il linguaggio muta in camera oscura, come a voler calcare di più con più o meno luce, più o meno contrasto, come quando s’impugna una penna, ma nulla di più se non forse ritagliare in fase di stampa, cosa che poche volte ho fatto. Per me l’immagine nasce al momento dello scatto.
Guido Giannini inizia a scherzare su qualcosa che ho detto di recente sulla fotografia, dicendomi che non sa se ci siamo copiati a vicenda, ma torna subito serio quando gli dico che forse l’ho copiato.
Nessuno copia mai nessuno. Pensa che ad una delle mie ultime mostre alla Feltrinelli un giornalista ha detto Guido Giannini come Bresson. Lui era ‘nu Dio! Anche se per me era un illustre sconosciuto quando iniziai a fotografare e purtroppo non ebbi sue lezioni.
Forse è questo che distingue il modo di fotografare di Guido Giannini, una coerenza mai intaccata che gli ha permesso di poter criticare anche e soprattutto le scorrettezze che avvengono oltre il mondo della fotografia.
Chi mi accetta fa bene, a chi non mi accetta dico arrivederci. Quando alla presentazione della mia mostra a Seriate ero tra i leghisti che scherzavano sul fatto che mi definivo un anarchico che fa click, a testa alta ho detto io non mi definisco anarchico, lo sono!
In molti hanno detto che Guido Giannini riesce a raccontare una storia con un singolo scatto, mi hanno dato anche un premio ultimamente, il flauto d’argento, peccato non fosse d’oro! Le mie soddisfazioni sono altre. Ho lavorato per Il Mondo che ritengo uno tra i più grandi giornali sulla politica, Ando Gilardi mi ha citato nel Progresso fotografico, ho sempre avuto la possibilità di avere nelle mie pubblicazioni scritti di grandi penne, Fofi, Rea e quando uscirà 85, la mia prossima pubblicazione per i miei ottantacinque anni, avrà l’onore di contenere uno scritto di Smargiassi che si è firmato Michele quando mi ha risposto in una delle nostre comunicazioni epistolari.
Guido Giannini s’accorge di un bel soggetto alle nostre spalle, si rammarica di non avere la macchina fotografica con se per poter fare qualche scatto. Ho avuto la possibilità di visionare alcuni dei suoi ultimi lavori, foto inedite che ancora non hanno visto la luce dell’ingranditore e la mia ultima domanda è spontanea gli chiedo cosa può dare ancora alla fotografia napoletana Guido Giannini?
Purtroppo la vita è una candela, a chi disgraziatamente si spegne presto, a chi addirittura non s’accende proprio, ma uno che di questa spaccimma di candela ne ha consumate ottansei, quante parti ce ne possono ancora resta’?
Saluto Guido Giannini e mentre m’incammino verso casa timoroso che il mio smartphone non ha correttamente registrato la conversazione, ho un pensiero con un pensiero ricordando uno scritto che mi fece leggere quando in camera oscura lo aiutai a provinare un suo vecchio 35mm.
Non è solo un anarchico che fa click, è dapprima un uomo che con la passione per la fotografia riesce a scuotere le masse come i due innamorati che si baciarono sul fianco di un’automobile in un suo scatto degli anni ’70.