Risorse Umane e aspiranti dipendenti si scontrano su LinkedIn con post e commenti al vetriolo, alimentando una spirale di accuse reciproche, aspettative non soddisfatte ed emulazione. Ma questa guerra digitale è davvero utile? Cosa si nasconde dietro l’ormai consolidata battaglia HR vs candidati?
Scorrendo velocemente la home di LinkedIn, la piattaforma sembra essersi trasformata in un’arena dove HR e candidati si confrontano – o meglio, si scontrano – a colpi di esperienze narrate tramite post e commenti al vetriolo. Da una parte, gli HR (addetti alle Risorse Umane, più in particolare Recruiter) lamentano diverse mancanze da parte dei candidati; dall’altra, i candidati recriminano comportamenti discutibili da parte delle risorse umane. Un circolo vizioso che sembra non trovare soluzione, ma che sicuramente alimenta polemiche senza fine.
Le recriminazioni dei candidati
I candidati spesso puntano il dito contro alcune pratiche degli HR che percepiscono come poco professionali o irrispettose. Tra le accuse più comuni è possibile trovare:
- La mancanza di feedback: il candidato affronta il colloquio e in cambio riceve il silenzio totale. Nessuna risposta, nessun aggiornamento, nemmeno un messaggio standard per comunicare che il processo si è concluso.
- L’opacità sugli stipendi: non parlare di retribuzione o essere vaghi sull’argomento, viene visto come una perdita di tempo, soprattutto in un mercato del lavoro in cui la trasparenza è sempre più richiesta.
- Domande inopportune: “Vorrebbe avere figli?”, “Quanto guadagna attualmente?”. Interrogativi che, oltre ad essere percepiti come invadenti, spesso risultano discriminatori e mettono in cattiva luce l’azienda stessa.
Le recriminazioni degli HR
Dall’altro lato della barricata, gli HR si trovano a fare i conti con comportamenti che mettono a dura prova la loro pazienza e organizzazione. Le lamentele più comuni includono:
- Candidati che non si presentano: colloqui fissati, ore dedicate… e poi il nulla. Nessuna risposta, nessuna spiegazione.
- Mancanza di preparazione: candidati che si presentano al colloquio senza aver letto nulla sull’azienda, senza sapere cosa fa e dimostrando scarso interesse, tranne che per lo sport “lancio del curriculum a casaccio”.
- Pretese irrealistiche: richieste di stipendi o condizioni di lavoro che non rispecchiano l’effettiva esperienza o il mercato attuale.
- Scuse per non lavorare: storie su indisponibilità temporanee che si protraggono, rinunce improvvise o richieste di flessibilità che sembrano poco credibili.
HR vs candidati: un ciclo di astio reciproco
L’elemento interessante è che spesso le discussioni su LinkedIn finiscono per degenerare, trasformando post teoricamente neutri in battibecchi decontestualizzati. Basta che un HR parli di “gestione del personale” perché nei commenti spunti il classico: «Ok, ma voi quando iniziate a dare feedback?». Allo stesso modo, se un candidato scrive della sua esperienza di selezione criticando in qualche modo l’iter, c’è sempre un HR pronto a ricordare quanto sia difficile gestire i colloqui con candidati poco preparati.
Ma cosa alimenta realmente questa tensione?
La radice della questione HR vs candidati
La diatriba HR vs candidati nasce da un cortocircuito di aspettative non soddisfatte, amplificato dai social. Da un lato, i candidati cercano trasparenza, rispetto e una comunicazione chiara. Dall’altro, gli HR affrontano volumi di candidature elevati, risorse limitate e pressioni aziendali che spesso rendono difficile una gestione dei processi di selezione senza intoppi.
In più, l’aspetto emotivo gioca un ruolo centrale. Per il candidato, un colloquio non è solo un processo: è una speranza di cambiamento, di crescita, di stabilità. Non ricevere un feedback può essere frustrante, soprattutto se il colloquio era andato bene o se si è in un momento di particolare difficoltà economica.
Per gli HR, invece, il carico di lavoro e le aspettative aziendali possono generare stress e una visione cinica del processo, che li porta a mettere in discussione l’impegno e la professionalità dei candidati stessi.
Recruiter vs aspiranti, una questione di aspettative e bias
Questa guerra di post e commenti è davvero utile? Probabilmente no, se non a racimolare qualche like in più e un po’ di visibilità. HR e candidati sono due facce della stessa medaglia: entrambi vogliono trovare la persona giusta per il ruolo giusto. Forse, il vero problema sta nel fatto che il dialogo tra le parti è troppo condizionato dalle esperienze negative. Come, del resto, accade in tutte le relazioni umane, non solo nel mondo del lavoro.
Un candidato che non riceve feedback si sentirà tradito e, probabilmente, proietterà questa frustrazione su ogni HR che incontra, anche quando non ce ne sarebbe motivo. Un HR che si trova a gestire candidati poco professionali tenderà a generalizzare, considerando ogni nuova candidatura come un potenziale problema. Purtroppo, non è scontato che persone che si approcciano ad un determinato mondo, abbiano svolto un adeguato training preliminare. Non è scontato che un addetto alle Risorse Umane riesca a spogliarsi da aspettative e pregiudizi prima di approcciarsi al candidato ed è banale pensare che un candidato, prima di affrontare un colloquio, abbia ben chiaro che il recruiter che gli ha spezzato il cuore in precedenza non è il recruiter che sta per incontrare.
Il ruolo dell’emulazione
Un altro aspetto che alimenta questa diatriba è l’emulazione. Post di HR e candidati che polarizzano l’attenzione con storie eclatanti fanno incetta di like e condivisioni, creando un modello che molti cercano di imitare. Così, si vedono HR (o chi si improvvisa tale) che inventano storie improbabili per screditare i candidati e candidati che trasformano normali episodi di colloquio in denunce esagerate, demonizzando anche osservazioni innocue fatte dall’HR. In alcuni casi, pur di raccogliere consensi, si arriva a narrazioni palesemente false che alimentano solo l’astio reciproco e l’infinita spirale del “noi contro loro”.
La polarizzazione come trappola
Per spezzare questo ciclo, è necessario vedere il quadro nella sua complessità ponendosi da una prospettiva esterna. Non è facile non prendere le parti dell’uno e dell’altro, ma non è utile farlo. La verità è che nell’eterna diatriba HR vs candidati nessuno ha ragione; entrambe le parti devono fare un passo verso l’altra:
- Gli HR dovrebbero impegnarsi a comunicare di più, anche con un semplice “Grazie per aver partecipato, ma abbiamo scelto un altro profilo”. Anche se la mole di lavoro è molto alta, includere questo passaggio all’interno del processo potrebbe portare innumerevoli benefici. Magari questo non creerà per magia posti di lavoro (cosa che non dipende certamente del recruiter), ma darà ai candidati la sensazione di essere stati trattati con riguardo e non ignorati.
- I candidati dovrebbero prendersi la responsabilità di prepararsi meglio e di rispettare l’impegno preso per i colloqui. Il laissez-faire dilagante e la pretesa di essere dalla parte del giusto solo perché non ci si è presi alcun impegno con l’azienda e si è reduci da ferite lavorative più o meno importanti, sta sfuggendo di mano.
HR vs candidati: quali prospettive?
La diatriba HR vs candidati riflette un problema più ampio: la mancanza di empatia e di comunicazione in un processo che dovrebbe essere collaborativo. È vero che le risorse umane hanno la responsabilità di gestire i processi in modo più trasparente, ma è altrettanto vero che dimostrare serietà e interesse per il lavoro che desiderano, da parte dei candidati, può cambiare veramente le sorti di un iter.
Forse, più che lanciarsi frecciatine su LinkedIn che alimentano la battaglia HR vs candidati, è il momento di usare questo spazio per costruire un dialogo migliore. Del resto, il lavoro è una questione di connessioni umane. E non c’è niente di umano nello scagliarsi contro l’altro dietro uno schermo. Questo, però, potrà avvenire solo quando prenderà piede la consapevolezza che i like e le condivisioni non fanno una persona.
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