Avete mai sentito parlare di Ma (間)? Il carattere deriva dal cinese e aveva il significato di “intervallo di tempo“. In Giappone, acquisì poi anche il significato di “spazio“, così da generare anche un terzo significato: “spazio-tempo”.
Come ha influenzato questo concetto l’arte e la filosofia giapponese? Questa concettualizzazione del vuoto ha avuto più importanza di quanto si possa immaginare.
Cos’è il 間 (ma)?
Questa parola rappresenta lo spazio o l’intervallo. Il punto principale da comprendere è che il Ma viene inteso come spazio vuoto ricco di potenziale, non una semplice mancanza di materia. Dal punto di vista occidentale il vuoto rappresenta il nihil, il nulla. Questa visione culturalmente negativa e deficitaria del “vuoto” (come mancanza di possibilità, perdita e staticità), per il mondo Zen e Taoista è invece diversa: nel vuoto che ci sono le possibilità e il movimento, in esso può manifestarsi il Ki, il soffio vitale di cui è fatto ogni oggetto della realtà. Concettualizzare gli spazi in questa maniera ha avuto un ruolo fondamentale nella dottrina giapponese più antica, lo Shinto. Un esempio notabile è negli spazi sacri Shinto: essi sono sempre aperti per accogliere le divinità, i Kami.
Siamo aiutati graficamente dalla parola stessa per Ma (間), poiché nel carattere vi sono due componenti: la prima è la cornice esteriore che indica una porta (門), la seconda indica il sole (日).
Nell’altare shinto (kamidana 神棚) viene lasciato uno spazio vuoto a delineare la separazione tra spazio sacro e spazio non sacro. Sempre secondo la dottrina, il Ma è uno spazio vuoto necessario dove dimorano le divinità giapponesi che risiedono negli alberi: i tronchi degli alberi vengono cinti con delle corde sacre bianche, dette shimenawa, che hanno il ruolo di creare uno spazio vuoto e puro per gli dèi, detto kekkai. Lo spazio non contiene il “nulla”, contiene l’energia vitale informe (ki) della divinità. La stessa forma del Kami è mutabile e irregolare, come un soffio vitale sempre in trasformazione.
- Corda shimenawa tra due alberi
- Santuario di Nakahime Hachiman
- Kamidana con shimenawa e shide
Il Ma, inoltre, è anche “spazio relazionale” tra persone. È curioso come la parola per indicare “umanità” in giapponese sia 人間 nin-gen, di cui il primo carattere significa “uomo”: sembra che si voglia intendere che l’umanità è tale in quanto prodotto di relazioni umane, prodotto di spazio emotivo e temporale tra un essere umano e l’altro.
La Parola 間 e le sue accezioni
Come accennato, questa parola, in giapponese, ha accezione sia temporale che spaziale. Possiamo aiutarci con alcuni esempi.
Esempi di Ma spaziale:
- Cha no ma (茶の間): stanza del tè
- Ima (居間): salotto in stile occidentale
- Toko no Ma (床の間 ): è un’importante stanza, più precisamente uno spazio rialzato, nelle case tradizionali giapponesi. La Toko no Ma è un luogo considerato sacro dove vengono appesi fogli di calligrafia e composizioni floreali dette ikebana.
Esempi di Ma temporale (dove Ma si legge Kan):
- Jikan (時間), “intervallo di tempo”, indica la durata o il periodo
- Ma ni au (間に合う), letteralmente “venire incontro al tempo”, quindi “fare in tempo”
A volte il Ma ha la doppia accezione, come in parole come “絶え間” taema, il cui significato è “intervallo” o “pausa”.
Ci sono anche modi di dire e frasi idiomatiche che contengono questo lemma:
- 間が悪い: “il Ma è scadente/cattivo”, quindi “sentirsi a disagio/in imbarazzo”.
- 間抜け manuke: “che toglie/rovina il Ma” (dove 抜く significa “togliere”), sostantivo usato per indicare una persona goffa e sbadata. Potremmo dire “fuori luogo” per lasciare la sfumatura spaziale insita nella parola.
- 間違うmachigau: “dal Ma errato”, quindi “errare, sbagliare”. È un verbo comunissimo in giapponese.
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Il 間 nell’arte
Il Ma è un concetto a noi piuttosto astratto, ma nella cultura Zen è molto concreto: viene applicato all’arte e all’architettura, è anzi uno dei perni concettuali per i giardini Zen. È un concetto fondante della pittura tradizionale cinese e giapponese di matrice Zen. I soggetti più comuni nelle rappresentazioni calligrafiche cinesi e giapponesi sono paesaggi: i paesaggi zen sono spesso intervallati da grandi spazi vuoti, per creare il giusto equilibro pieno-vuoto.
Perché proprio il vuoto?
Come molti elementi della dottrina giapponese, anche il concetto di Ma affonda le sue radici nel Buddhismo Mahayana. Per il Buddhismo, infatti, la consapevolezza che la vera verità sia la vacuità è il passaggio fondamentale per raggiungere l’illuminazione. Questa consapevolezza si contrappone alla credenza che tutto intorno a noi, e il nostro “io”, sia concreto e stabile.
In Sanscrito, vacuità viene espressa con la parola शून्यता Śūnyatā. Per la cultura cinese, il vuoto è altrettanto importante. Come è ben noto anche nell’immaginario collettivo occidentale, la filosofia taoista viene rappresentata dal simbolo taijitu (il cerchio nero e bianco), dove si rappresentano le forze complementari e compenetranti dello yin e dello yang. In questo binomio lo yin enuclea, tra le moltissime cose, il concetto di vuoto. Il vuoto, qua, è tanto importante e necessario quanto l’eccesso (rappresentato dallo yang).
Non è possibile pensare al vuoto senza pensare al pieno, e viceversa. Secondo queste dottrine, il fedele ha bisogno di immergersi nel vuoto per avere la possibilità di ricevere l’illuminazione. Deve svuotare la propria mente e abbandonare i mezzi razionali.
Dove è possibile riscontrare, nel concreto, il concetto di “vuoto” giapponese? Possiamo vederlo nelle arti derivate dallo Zen: la poesia haiku, l’ikebana, le arti marziali, in particolare il karate, il Teatro Nō o la cerimonia del tè.
Fonte immagine: Wikipedia