Il burocratese, cos’è ed esempi di utilizzo

Il «burocratese», cos’è ed esempi di utilizzo

Il burocratese è un modo di scrivere e comunicare caratterizzato dall’utilizzo di un linguaggio complesso, formale e spesso ostico, tipico della burocrazia e delle istituzioni pubbliche. Questo stile di scrittura si distingue per la presenza di frasi lunghe, ripetizioni, un eccesso di formalismo, rendendo il testo difficile da comprendere per la maggior parte delle persone e, dunque, piuttosto intellegibile.

L’uso del burocratese può ostacolare la comunicazione efficace e creare barriere tra l’amministrazione e i cittadini. Di fatto, il burocratese è spesso oggetto di critica in quanto linguaggio piuttosto fallimentare nel raggiungere il proprio obiettivo: comunicare un messaggio all’interlocutore. Di fatto, tale stile comunicativo è reso complicato inutilmente, abbellito da un registro pomposo e cerimoniale.

Le origini del burocratese

Nasce per una necessità giuridica: in occasione delle prime entità giuridiche e amministrative a livello di supermercato, era necessario avere un linguaggio uniforme per facilitare la comunicazione. Di conseguenza, l’influenza giuridica latina e quella della curia furono una componente importante.

Nel corso dei secoli, la lingua amministrativa e giuridica si è arricchita di diversi stranierismi e di un linguaggio prolisso e pedante. Il risultato è stata la creazione di un modo di comunicare che più si allontana dalla lingua parlata.

L’antilingua: la lingua killer

Italo Calvino, in un articolo apparso nel 1965 sul quotidiano Il Giorno, si pronunciò contro l’utilizzo frequente di quello che lui stesso definisce antilingua: «Dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ‘ho fatto’ ma deve dire ‘ho effettuato’ – la lingua viene uccisa.»

Questa denuncia risulta particolarmente attuale dato l’abuso che oggi si fa del burocratese. Questa tendenza circola soprattutto – e purtroppo – nei giornali, in televisione, in politica e in tutte quelle fonti di informazioni alla cui base, invece, dovrebbe esserci una comunicazione chiara e diretta senza troppi giri di parole e termini ampollosi, che lo stesso Calvino considerava alquanto inutili e controproducenti. L’antilingua, in genere, implica una grammatica e sintassi complesse, un vocabolario insolito e regole oscure.

L’attitudine a ricorrere a questo tipo di linguaggio è molto spesso dettata dalla volontà di darsi un tono, tuttavia si può rivelare un’arma a doppio taglio: da un lato innalza il narratore facendolo sembrare un intellettuale, dall’altro rende unilaterale la comunicazione.

Il burocratese è da evitare proprio perché rende la comunicazione incomprensibile e, quindi, inutile. Quando scriviamo qualcosa, qual è il nostro scopo? Cos’è necessario affinché ci sia una comunicazione efficace? Innanzitutto, bisogna eliminare questa patina nobile alle parole e attenersi ad un registro adatto alla situazione e al contesto in cui ci troviamo, utilizzando un linguaggio semplice anche per esprimere concetti complessi.

L’antilingua di Calvino si è fatta largo uscendo dalle pareti asfissianti della burocrazia fino a contaminare il linguaggio quotidiano: la cassiera, l’estetista, il meccanico e il bottegaio sotto casa sono tutti infetti da questa terribile malattia.

Vediamo insieme alcuni principali meccanismi tipici del burocratese:

  • Ampio uso della forma passiva;
  • Uso di tecnicismi:
    • Sancito invece di deciso;
    • Modificazione invece di modifica;
    • Nominativo invece di nome;
    • Prendere visione invece di vedere;
    • Ammenda invece di multa;
    • In calce invece di in fondo;
    • Allo scopo di, al fine di aiutarla;
  • Sintassi molto elaborata;
  • Uso di subordinazioni con participi e gerundi;
  • Uso frequente di parole astratte.

Bisogna, però, prestare attenzione alla scelta delle parole in quanto il confine tra semplificazione e impoverimento è piuttosto labile e impercettibile.

Fonte immagine: Pixabay

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