Come tutti sanno gli imperatori del I secolo d.C. non intrapresero due campagne di espansione, limitandosi piuttosto al consolidamento dei confini dell’impero romano, fatta eccezione per la sottomissione della Britannia centro meridionale, da parte di Claudio. L’unica eccezione fu una breve spedizione condotta da Germanico nel 16 d.C., che ottenne alcune vittorie, ma non condusse a un controllo stabile del territorio, che secondo gli storici, avrebbe lasciato un memoriale, in cui oltre a fornire una serie di dati statistici e informazioni sulla situazione economica dell’impero, invitava a non ampliare ulteriormente i confini delle conquiste romane. Questo consiglio venne per lo più rispettato dai suoi successori, dal momento che a parte qualche eccezione, il primo secolo dell’impero non vide nuove grandi campagne di espansione.
Esamineremo ora, più nel dettaglio, quali furono le principali linee della politica imperiale, da Tiberio a Domiziano. Nello scacchiere settentrionale il confine dei territori soggetti al controllo romano, rimase saldamente attestato lungo la linea Reno-Danubio. Dopo il fallimento delle campagne di Augusto in Germania, non vi fu alcun vero tentativo di riprendere l’espansione, in quel settore. Infatti la Germania, restava un’area difficile, coperta di boschi e paludi che poco si prestava agli scontri in campo aperto, in cui i romani erano particolarmente abili. Per lo più la popolazione era frammentata, ma sapeva anche all’occorrenza, coalizzarsi per respingere l’invasore, come era accaduto proprio all’epoca di Augusto. L’iniziativa romana, si limitò al pattugliamento del confine renano. Infatti lungo il corso del Reno vennero dislocate ben otto legioni, mentre altre due presidiavano le rive del Danubio. Essi erano potenzialmente minacciate dalle popolazioni stanziate a nord del fiume. Solo con l’ultimo dei Flavi, l’imperatore Domiziano, si verificò una certa ripresa dell’espansione, il cui fine restava comunque sempre il consolidamento di un punto debole del confine dell’impero. Infatti i due corsi del Reno e del Danubio, erano separati da un territorio privo di difese naturali e quindi più difficile da proteggere in caso di attacco. Proprio qui, si concentrò l’iniziativa di Domiziano, che fra 83-85 d.C. portò alla conquista dell’area geografica in questione e alla sua inclusione all’interno del sistema di fortificazioni, posto a salvaguardia del confine.
A tale scopo i romani crearono la provincia della Germania Superiore. Se la Germania venne sostanzialmente esclusa dall’espansionismo romano, lo stesso non si può dire della Britannia. In Britannia, la popolazione offriva minori resistenze e la stessa grande lontananza dell’isola poteva conferire, a chi l’avesse conquistata, una fama leggendaria. Dobbiamo dire che il primo a sbarcare in Britannia era stato Cesare, nella metà del I secolo a.C. intenzionato a colpire le zone geografiche da cui partivano rifornimenti a favore dei galli. Tuttavia Cesare, voleva anche compiere un’impresa in grado di colpire i suoi contemporanei. Alcuni sovrani locali si sottomisero all’invasore romano, ma l’impossibilità per quest’ultimo di insediare una forza di occupazione stabile nell’isola, rese tale sottomissione un fatto solo formale. Le mire espansionistiche in Britannia, furono del resto dimenticate negli 80 anni circa, compresi tra l’ascesa di Augusto e la morte del suo successore Tiberio nel 37 d.C. Fu invece Caligola, a ideare ed avviare una spedizione in grande stile contro la Britannia tra il 39-40 d.C. Un gran numero di soldati, venne ammazzato lungo il canale della Manica, ma all’ultimo momento l’imperatore rinunciò a compiere tale impresa. Caligola, si limitò a prendere in ostaggio il giovane principe britannico e in tal modo si coprì di ridicolo agli occhi dei contemporanei. Alcuni anni più tardi nel 43 d.C. una campagna in Britannia, fu personalmente condotta da Claudio. Egli riuscì a ottenere, l’effettiva sottomissione dell’area centro meridionale dell’isola. Nei decenni successivi, la situazione del dominio romano in Britannia rimase incerta tanto che nel 60-61 d. C. un’imponente rivolta delle popolazioni locali, arrivò a mettere in forse la presenza romana in Britannia. La ribellione fu così violenta che Nerone, pensò per un momento di ritirare tutti gli eserciti sul continente, abbandonando l’isola al suo destino.
Anche sotto Domiziano, le forze di occupazione romane furono costantemente impegnate, nella repressione delle rivolte e del consolidamento dei confini, contro le bellicose popolazioni dell’attuale Scozia. I confini non erano le sole zone calde dell’Impero, dal momento che anche le province interne potevano essere teatro di rivolte contro i romani. Particolarmente violente furono le rivolte contro l’autorità romana. In Giudea, in questa regione, si susseguirono numerose ribellioni poiché periodicamente il sentimento antiromano della popolazione e di una parte della classe politica ebraica, esplodeva in rivolte spesso violentissime, che erano represse con altrettanta durezza dai romani, che in ogni caso non riuscivano mai a stroncare completamente la resistenza degli ebrei. La più vasta tra queste rivolte, scoppiò a Gerusalemme, nel 66 d.C. durante il regno di Nerone, esasperati dal malgoverno dei funzionari imperiali gli Zeloti (ebrei appartenenti a una setta nazionalista giudaica) misero fuori combattimento la guarnigione romana, stanziata nella città. Di fronte al pericolo di perdere la provincia, Nerone fu costretto a inviare in Giudea un esercito di 60.000 uomini comandati dal generale Vespasiano, che si era già distinto, all’epoca delle campagne di conquista della Britannia condotte sotto l’impero di Claudio. La guerra durò fino al 70 d.C. e altri tre anni furono necessari a Vespasiano, diventato nel frattempo Imperatore e al Figlio Tito per domare gli ultimi focolai. Dobbiamo dire che, i ribelli si rifugiarono nella fortezza di Masada sul mar Morto, per tentare un’ultima resistenza. Ma poco prima di essere definitivamente sconfitti, presero la decisione di darsi reciprocamente la morte, pur di non cadere nelle mani dei romani. Gerusalemme, città simbolo della identità culturale e religiosa ebraica, venne praticamente rasa al suolo. In particolare nel 70 d.C. fu distrutto il tempio di Salomone, centro del culto e punto di riferimento degli ebrei, sparsi in tutta l’area del Mediterraneo. I preziosi arredi del Santuario, compreso un enorme candelabro a 7 bracci, vennero razziati dai legionari romani portati a Roma. Questo episodio, è ricordato in un rilievo dell’Arco di Tito, innalzato nel foro romano, per celebrare la vittoria. Vogliamo mettere in evidenza che, da allora il tempio non è stato mai più ricostruito. Tuttavia uno dei suoi muri perimetrali, tutt’ora in piedi, è chiamato significativamente dagli ebrei Muro del Pianto. Tale Muro, rappresenta anche oggi un luogo di preghiera, per gli ebrei osservanti.
Un‘altra rivolta, scoppiò oltre mezzo secolo dopo le vittorie di Tito e Vespasiano, durante il regno dell’imperatore Adriano. Tale rivolta si tratta di un ulteriore episodio, della medesima lunghissima guerra. Nel 132, la nuova ribellione fu scatenata da due decisioni del potere centrale romano, decisioni che vennero viste dagli ebrei come altrettante inaccettabili aggressioni, alla propria identità culturale e religiosa. Le due decisioni in questione furono, il divieto di praticare la circoncisione sui bambini e la scelta di ricostruire Gerusalemme, come città romana. A rendere ancora più violenta la reazione degli ebrei, fu il fatto che i romani, sostituirono a Gerusalemme il culto del dio ebraico, con quello del Giove romano. Anche questa volta, i ribelli dimostrarono notevolissime e insospettate capacità di resistenza. Di conseguenza, fu necessario un esercito regolare per guidarli dalle loro posizioni. Ottenuta la vittoria, la vendetta romana fu atroce, e solo allora la regione trovò la pace. Adriano cambiò il nome della provincia, che fu ribattezzata Siria Palestina, un toponimo che si rifaceva ai Filistei.
Prof. Giovanni Pellegrino
Foto di Chait Goli: https://www.pexels.com/it-it/foto/colosseo-italia-1797161/