Gli amanti del mondo nipponico avranno ben presente la bellezza che traspare ogni qualvolta venga rappresentato il fiore di ciliegio in Giappone all’interno degli elementi culturali, storici, letterari e artistici. Tale fattore avrà suscitato degli interrogativi, almeno una volta, sul perché questo fiore fosse così radicato anche nelle piccole cose: cosa intriga davvero l’uomo, pertanto, del suo simbolismo recondito e limpido allo stesso tempo?
Il fiore di ciliegio (in giapponese ‘Sakura’ – 桜) fa parte del genere Prunus, in Giappone è soprattutto riconosciuto per annunciare l’arrivo della primavera e contemplare la semplice ma delicata bellezza che offre, anche se per un periodo breve di fioritura che va dai 7 ai 10 giorni, panoramiche naturalistiche variegate di colori suggestivi e ammalianti tali da regalare allo spettatore la sensazione di essere all’interno di una vera e propria creazione artistica.
Il popolo nipponico ha sempre avuto il desiderio genuino di collegare i vari aspetti contenutistici culturali alla tradizione vista l’alta disciplina che hanno sempre auspicato a raggiungere, in particolar modo il rapporto tra l’uomo e la natura è quel che più spesso abbiamo notato impetuosamente quasi in simbiosi, una simbiosi che li porta ad essere eternamente collegati l’uno all’altro come luogo di conforto per capirsi, attraversando migliaia di perplessità trascendentali. Protagonista del rapporto spirituale e ambientale dell’uomo e della natura, il fiore di ciliegio in Giappone suscita fascino verso il mistero delle cose che non saranno mai più come prima, in quanto rappresenta l’esistenza effimera e transitoria della vita, tracciando una linea nostalgica e di impermanenza oltre che essere l’auspicio di rinascita e speranza della fioritura periodica annuale che tutti aspettano con entusiasmo.
Hanami festival
La parola ‘Hanami’ (花見) significa ‘guardare i fiori’. Le origini del festival risalgono a tempi antichi e consiste nella celebrazione della fioritura dei fiori di ciliegio trascorrendo piacevoli giornate con familiari o amici all’aperto ammirando la bellezza dei loro graziosi petali. Oltre a stimolare la riflessione dell’uomo su ciò che gli circonda, il festival è un mezzo di coesione sociale per i giapponesi perché oltre a favorire la socialità tra le persone rafforza anche l’identità nazionale e tramanda le vecchie usanze tradizionali anche alle generazioni future. Non è casuale quindi che il fiore di ciliegio sia considerato il simbolo nazionale del Giappone, dacché sia la perfetta combinazione tra il guardarsi dentro grazie alla profonda filosofia che c’è dietro e l’impatto sociale visivo così forte da empatizzare con il prossimo come se non ci fossero barriere.
Il fiore di ciliegio nella letteratura giapponese
Oltre l’impatto sociale e culturale all’interno della tradizione in Giappone, anche nello scenario letterario possiamo vedere quanto il fiore di ciliegio sia stato la massima espressione passionale per rammentare l’angoscioso stato d’animo degli scrittori ma al contempo cantore di una bellezza stagionale unica, elegante e malauguratamente di breve durata. All’interno del Man’yōshū, in particolare, c’è una presenza persistente dei fiori di ciliegio, così come fu lo stesso nel periodo Heian (794-1185), periodo basato sulla letteratura aristocratica di corte in cui le donne iniziarono a predisporre dei mezzi e le condizioni per poter scrivere.
Analizzando il Man’yōshū (万葉集 – Raccolta delle diecimila foglie, o, secondo ulteriori interpretazioni, delle diecimila parole o generazioni), che fu la più antica antologia poetica in lingua giapponese composta nel VII secolo e completata dopo il 759, riscontriamo i tanka (‘poesia breve’) naturalistici di Yamabe no Akahito (山部 赤人\700–736). Tra i 37 tanka che scrisse, prendiamo in esame la seguente poesia dove riscontriamo l’allusione al fiore di ciliegio in Giappone:
Fiori di ciliegio
tra monti scoscesi
se di giorno in giorno
continuassero così a fiorire
non proverei straziante nostalgia d’amore.
Dalla poesia evinciamo ciò di cui abbiamo trattato finora in maniera molto coincisa, ossia l’essenza del fiore di ciliegio come ciò che non sarà più al termine della sua breve fioritura: Akahito, infatti, cita quanto la sua nostalgia tormentosa vada di pari passo con la fioritura, quasi come se la cessazione del germoglio potesse mitigare il suo animo per portarlo all’accettazione dell’instabilità del cuore umano e all’effimera durata del proprio destino alla perdita di qualcosa di prezioso.
Etica e morale dei samurai
Nel discorso sul fiore di ciliegio è importante fare riferimento all’età medievale in Giappone che si divide nel periodo Kamakura (1185-1333) e periodo Muromachi (1336-1573), e si apre con la vittoria dei Minamoto sui Taira nella guerra Genpei nel 1185. Questo periodo si contraddistingue per l’emergere dei Samurai (侍) nel 1183, ossia dei guerrieri patroni anche delle arti come la pittura o la scultura: lo spirito dei samurai è accorpato nel Bushidō (武士道), ossia la regolamentazione dei principi etici e disciplinari che ogni samurai doveva possedere durante il suo processo di formazione, influenzato dal Buddhismo zen, confucianesimo e dallo scintoismo che nell’epoca Meiji (1868-1912), principalmente, lo portò ad essere strumentalizzato per asseverare il nazionalismo giapponese.
Nonostante i precetti zen costituiscono il cardine filosofico per ricercare l’illuminazione in se stessi, anche la purezza del fiore di ciliegio diventa un principio importante a sua volta: secondo lo scintoismo, il quale dava enorme rilievo alla purezza spirituale, il samurai doveva possedere autenticità nello spirito e nel cuore e non solo, la singolarità che congiunge il Bushidō con il simbolismo del fiore di ciliegio in Giappone è in primo luogo come il cadere dei suoi petali, quando il percorso naturale delle cose lo stabilisce, contribuisca alla calma dell’essere al fine di distaccare il proprio io dall’attaccamento che é la causa della sofferenza e raggiungere il punto massimo della coscienza.
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