Il Grande Impero del Giappone: dal successo alla rovina

Il Grande Impero del Giappone: analisi storica

Il Dai Nihon Teikoku (大日本帝国, Grande Impero del Giappone) richiama inevitabilmente le ombre delle sue azioni nella prima metà del XX secolo: l’annessione forzata della Corea (韓国併合, 1910-1945), il massacro di Nanchino (南京事件, 1937-1938), la morte di più di 100.000 individui, tra civili asiatici e prigionieri di guerra, nella costruzione della Ferrovia della Morte tra Thailandia e Birmania , gli orrori perpetrati dall’Unità 731 (731部隊), responsabile di esperimenti disumani sui prigionieri di guerra. Questi episodi dimostrano la spietatezza e la brutalità del governo imperialista che ha a lungo oscurato l’immensa ricchezza culturale e letteraria del Giappone, alimentando una percezione unilaterale di un paese ridotto a macchina da guerra.

Contrasto tra guerra e arte

Eppure, anche nei momenti più cupi, l’arcipelago asiatico è stato terra fertile per una sensibilità artistica e letteraria senza pari, capace di penetrare le pieghe più intime dell’animo umano: dai raffinati zuihitsu (随筆, saggi personali) di Sei Shōnagon (清少納言, 965c.ca-1025c.ca) e Genji Monogatari (源氏物語, La storia di Genji) di Murasaki Shikibu (紫式部, 973c.ca-1014c.ca), che catturano con vivida eleganza i dettagli della vita di corte, al raffinato teatro Nō (能楽堂) di Konparu Zenchiku (金春禅竹, 1405c.ca-1470c.ca), fino agli yomihon (読本, libri da leggere) fantastici di Ueda Akinari (上田秋成, 1734-1809).
La tensione tra violenza storica e delicatezza artistica è diventata ancora più evidente quando, dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, è germogliato un nuovo filone letterario, la genbaku bungaku (原爆文学, letteratura della bomba atomica), che ha segnato un profondo distacco tra la violenza istituzionalizzata del passato e la vulnerabilità dell’individuo in lotta per fare i conti con un trauma difficile da comprendere e ancora più arduo da superare.
Negli anni ’80, il critico letterario Nakano Kōji (中野孝次) introdusse una divisione tra gli autori di questo genere: da un lato, gli hibakusha (被爆者), esposti direttamente alle radiazioni e sopravvissuti all’orrore dell’esplosione; dall’altro, coloro che, pur non avendo sperimentato il disastro in prima persona, ne hanno fatto il fulcro della loro ricerca letteraria e riflessione etica.
I primi, come Hara Tamiki e Ōta Yōko (大田洋子, 1906-1963) si distinguono per una narrazione pervasa da un senso di responsabilità urgente e ineludibile. Le loro opere non solo testimoniano il trauma individuale, ma incarnano anche l’impossibilità di rappresentare, con mezzi tradizionali, un evento che ha sconvolto ogni parametro umano, etico e culturale.
Gli scrittori della seconda categoria, come Ibuse Masuji (井伏鱒二, 1898-1993) e Ōe Kenzaburō con opere quali Kuroi Ame (黒い雨, “La pioggia nera”, 1965) e Hiroshima nōto (ヒロシマ・ノート, “Appunti su Hiroshima”, 1965), invece, sono riusciti a superare i confini dell’esperienza individuale, rendendo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki un elemento centrale della meditazione collettiva sulla condizione umana.
Sebbene si distinguano per prospettive e modalità espressive diverse, entrambe le categorie di autori hanno contribuito a creare un corpus letterario eterogeneo ma unito dall’intento di comprendere, comunicare e preservare la memoria di un evento che ha cambiato per sempre la storia del Giappone e dell’umanità.

La caduta dell’Impero

Il 15 agosto 1945, venne diffuso via radio su scala nazionale il Gyokuon-hōsō, un discorso registrato dall’imperatore Hirohito di resa incondizionata del Grande Impero del Giappone alle potenze alleate della Seconda Guerra Mondiale. Fu l’ennesimo duro colpo in un periodo che sembrava non poter regalare agli abitanti dell’arcipelago una singola gioia. Dopo i numerosi attacchi con bombe incendiarie (napalm) che rasero al suolo alcune delle principali città del Giappone (tra cui Tōkyō, Kōbe e Yokohama) e l’olocausto atomico di Hiroshima e Nagasaki, il discorso di resa generò un esplosione a catena di proteste e suicidi, soprattutto tra le file dei corpi militari.
Il 2 settembre dello stesso anno, venne firmato, a bordo della corazzata USS Missouri, il definitivo atto di resa, che sancì la fine del Grande Impero del Giappone e l’inizio dell’occupazione statunitense, che andò avanti fino al 1952.

Fonte immagine: Wikimedia Commons

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A proposito di Christian Landolfi

Studente al III anno di Lingue e Culture Comparate (inglese e giapponese) presso "L'Orientale" di Napoli e al I anno di magistrale in Chitarra Jazz presso il Conservatorio "Martucci" di Salerno. Mi nutro di cultura orientale in tutte le sue forme sin da quando ero piccino e, grazie alla mia passione per i viaggi, ho visitato numerose volte Thailandia e Giappone, oltre a una bella fetta di Europa e la totalità del Regno Unito. "Mangia, vivi, viaggia!"

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