Il mito di Aracne è uno dei racconti più noti della mitologia greca e latina, rivisitato e narrato da vari autori come Apuleio nelle “Metamorfosi” e Ovidio nell’omonima opera. In questo articolo vi raccontiamo la storia di Aracne secondo le versioni dei due autori e i significati attribuiti.
Aracne e Atena: la sfida al telaio e il peccato di hybris
Ma a cosa serviva il mito in antichità? Il mito è una narrazione che, attraverso elementi fantastici, cercava di dare una spiegazione all’origine del mondo e dell’umanità e ai diversi aspetti della realtà. In particolare, il mito di Aracne ha come protagonisti esseri umani e divinità, che giostravano le sorti di questi ultimi. Aracne, secondo il mito, era una tessitrice della Lidia molto abile, tanto da fare invidia alla dea Atena, dea della saggezza e della forza secondo la mitologia greca, la quale fu sfidata in una gara pubblica, poiché Aracne riteneva di essere molto più brava perfino di lei.
La bravura di Aracne e la sfida lanciata ad Atena
Secondo il mito di Aracne, Atena inizialmente le chiese di ritirare la sua sfida, dandole l’opportunità di essere la migliore tessitrice fra i mortali e di non sfidare le divinità. Aracne rispose che se la dea non avesse accettato la sua sfida, probabilmente sarebbe stato per paura, segnandosi così del peccato di tracotanza, conosciuto in molti miti greci come hybris. La hybris, ovvero la tracotanza, è il tentativo dell’uomo di superare la forza degli dei, ma finendo per essere sempre punito, anche indirettamente attraverso le generazioni, proprio da questi ultimi. Atena alla fine accettò la sfida.
La gara di tessitura e la punizione di Aracne
Il mito di Aracne, quindi, parla proprio di questa sfida al telaio tra Atena e la ragazza. Entrambe iniziarono a tessere per giorni e notti ininterrottamente, dovendo raffigurare delle immagini: Atena rappresentò le proprie imprese, mentre Aracne gli amori delle divinità, dando quasi l’impressione che le immagini si animassero. Presa dall’invidia Atena rovesciò il telaio di Aracne e ridusse la sua tela in mille pezzi. La ragazza così, fuggì in un bosco e cercò di uccidersi, impiccandosi a un albero, ma Atena glielo impedì, trasformandola in un ragno, condannandola a tessere per tutta la vita e a filare con la bocca, pendendo proprio da quell’albero.
Il mito di Aracne in Ovidio e Apuleio: due versioni a confronto
Ovidio: l’ingegno umano pari agli dei
Il mito di Aracne narrato da Ovidio si trova nelle “Metamorfosi” dell’autore, in cui prova a narrare in vari libri l’origine del mondo. La trama è quasi del tutto la stessa, ma il significato è leggermente diverso. Infatti, Ovidio mette in evidenza le capacità dell’uomo, che potevano essere superiori o al pari degli dei, come lo si vede dalla scena in cui Atena, in questo caso chiamata Minerva, rovescia la tela presa dall’invidia, sentimento di base riconosciuto come umano. Secondo Ovidio, nulla è superiore all’ingegno dell’uomo, che viene soppresso solo dalla paura, e dell’orgoglio e l’arroganza che ha portato Aracne ad una fine tragica.
Apuleio: una versione simile con alcune varianti
Anche Apuleio, nelle sue “Metamorfosi“, riprende il mito di Aracne, pur con qualche variante rispetto alla versione di Ovidio. Sebbene la trama di base rimanga la stessa, con la sfida tra Aracne e Atena e la successiva punizione della ragazza, Apuleio si concentra maggiormente su altri aspetti, come la descrizione dettagliata delle opere tessute dalle due contendenti e l’introduzione di elementi magici e fantastici.
Aracne e l’origine del ragno: il significato del mito
Il mito di Aracne, inoltre, spiegava nell’antichità l’origine del ragno e della sua abilità nel tessere le ragnatele. Al di là di questo, il mito vuole essere un monito contro la superbia e l’arroganza, personificate da Aracne, e un’esaltazione dell’ingegno e dell’abilità umana, che però non devono mai sfociare nella hybris, la tracotanza di sfidare gli dei.
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